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A San Pietroburgo, tra i palazzi e la disabilità

Se non è Russia è pan bagnato

Intraprendere un’esperienza all’estero, in un paese che per diversi aspetti si presenta diverso dal proprio non è sempre una passeggiata, ma è sempre un bel cammino.
Sono Enrico e questa è la mia terza esperienza all’estero con una durata superiore ai 9 mesi e noto dopo poco che l’entusiasmo non manca, ma di certo è cambiato e forse è un po’ più disilluso. Sono di mezzo sangue russo, ma con poca conoscenza della lingua e delle abitudini, proprio per questo ho deciso di avvicinarmi alla Russia tramite un progetto che sembrava calzare molto bene con me e sembrava darmi un’ottima base per vivere le mie radici.
Ho fatto diversi lavori nella mia vita, dal cameriere al cartongessista, dal manutentore di un macello all’allenatore. Però quello che i vari progetti passati mi hanno fatto capire è stato proprio che a me piace lavorare a contatto con le persone. Proprio per questo sono diventato un educatore professionale, mestiere ancora poco compreso in Italia e quasi sconosciuto qui in Russia. Io tendo sempre a sintetizzare dicendo che gli educatori accompagnano una persona verso il miglioramento e/o il mantenimento delle proprie autonomie ed in alcuni casi le accompagnano verso la morte. Queste poche parole però non danno giustizia al peso che l’educatore ricopre nel luogo di lavoro portando delle competenze capaci di mediare sentimenti e scelte, scrivendo progetti e diari con valori giuridici, sempre a contatto con chi la società giudica gli ultimi.
In questo progetto i protagonisti stanno cercando di far accrescere i loro diritti in uno stato che purtroppo tende a nasconderli, ghettizzarli e a fargli vivere delle vite istituzionalizzate. Parlo dei disabili. A luglio 2020 ho finito 3 anni di lavoro in una comunità per disabili in Italia e pochi mesi dopo sono partito per vedere cosa vuol dire disabilità in Russia.

Partiamo con ordine:

Il viaggio e le sue peripezie

Il 2020 è un anno segnato del covid19 e proprio per questo il mio viaggio ha visto parecchie difficoltà.
Il progetto sarebbe dovuto iniziare a Luglio del 2020, ma a causa della pandemia è stato inizialmente spostato di un mese. Ad agosto la Russia non aveva ancora aperto i voli diretti con l’Italia e neanche con altri paesi Europei, ma solo con la Turchia e i prezzi del volo erano al di fuori del budget previsto. A Settembre si è pensato di passare tramite l’Estonia via terra, ma poco prima della mia partenza anche L’Estonia ha bloccato il flusso diretto con l’Italia indicandola come zona rossa. Solo verso fine Ottobre ho potuto finalmente prendere un volo che partisse da Milano e arrivasse a San Pietroburgo. Giusto in tempo. Due settimane dopo l’Italia era in lockdown e muoversi tra regioni non era più possibile.

L’arrivo e le differenze

Al mio arrivo non ho potuto non accorgermi dello sbalzo termico. La massima è la minima del nord Italia, ma in compenso il clima non fa percepire troppo la temperatura, almeno fino a quando non soffia il vento. Le temperature a novembre e dicembre iniziano a calare ed essendo la città molto umida, nel momento in cui tutto ghiaccia, il freddo si percepisce molto di più. Meno sei gradi sono percepiti come meno dodici. Inoltre spesso ci sono le nuvole e di sole se ne vede ben poco.
La città mostra bene i segni del tempo tramite le architetture che segnano una netta divisione tra il periodo degli zar, quello comunista ed infine l’avvento del capitalismo.
La differenza tra il centro e la periferia è netta, più che in altre città europee. Il centro ampio, caratterizzato da cattedrali con cupole dorate, archi e palazzi del XIX secolo che all’esterno danno un’impressione di estrema regalità, vengono sostituiti dagli orrendi palazzi in stile Chruščëvka (costruiti da Krusciov). Questi ultimi sono dei parallelepipedi di cemento, in origine di color pastello o grigi, che però non hanno mai visto un rinnovo della facciata e quindi spesso decadenti. Io ovviamente abito in uno di questi e dentro la situazione non migliora. Dopo poco mi sono adattato e ne ho compreso l’abitabilità ed anche un po’ il senso con cui i russi vivono queste case.
Infine il capitalismo si staglia lungo tutta la città. I fast-food e i grattacieli luminosi sono i suoi massimi esponenti. Una cosa che mi ha lasciato stranito sono i palazzi nuovi che ricalcano esattamente la stessa forma dei palazzi Chruščëvka con degli interni che lasciano a desiderare –che non abbiano imparato nulla? O forse in fondo gli piace, o ancora, potrebbe essere l’economicità dei materiali e dei lavori a “preferire” questa archetettura-.
La metropolitana è molto efficiente e all’ingresso ci sono sempre dei poliziotti pronti a fermarti per controllare il contenuto del tuo zaino tramite dei raggi x. La paura per gli attentati è tanta ed è per questo che sono presenti così tanti controlli. Non pagare il biglietto è impensabile in ogni mezzo pubblico. La metropolitana di San Pietroburgo inoltre presenta delle scale mobili vertiginose e interminabili dato che è la più sotterranea al mondo.
Ho vissuto un po’ di tempo in Estonia e sicuramente mi sono tornate in mente delle caratteristiche che hai tempi avevo trovato particolari. La prima curiosità e che ci si saluta abbracciandosi (tra conoscenti), un gesto che per la nostra cultura mediterranea è molto caldo ed intimo, più che i classici due o tre baci.
Non si dà mai la mano indossando il guanto o almeno tra signori, i giovani iniziano a pensare sia inutile. È considerato un gesto antipatico e in una città fredda, dove spesso usi i guanti, è bene ricordarselo.
Inoltre essendo una città piena d’acqua ci sono pescatori ovunque e in giro per la città si trovano negozi di fiori aperti 24/24. Quest’ultima particolarità ancora non me la spiego, ma avrò tempo di interrogarmi.

Il lavoro

In una cittadina distante 35 minuti di treno si trova l’Internato. Una struttura simile ad un ospedale in cui sono presenti più di dodici dipartimenti. In ognuno di esso penso siano presenti tra le 50 e le 80 persone. Non sono sicuro delle cifre dato che l’associazione lavora su tre dipartimenti e i volontari solo in due. Io sono stato assegnato al terzo dipartimento e dopo 2-3 giorni di spiegazioni, mi hanno lasciato lavorare da solo con i miei 8-9 ragazzi. Faccio un esempio per chi non è pratico del lavoro educativo, in Italia nella comunità in cui lavoravo eravamo circa 13 lavoratori che ruotavano sulle 24h e per fare un lavoro fatto bene ancora non eravamo abbastanza. Fatta questa premessa dopo poco ho capito che il lavoro educativo, fatto in equipe lo potevo dimenticare e che ora dovevo reinventarmi.
All’interno del piano ci sono ancora 3 diverse categorie di lavoratrici: le infermiere, le OSS e una figura intermedia. L’età media si aggira sui 50 anni e i loro modi sono alle volte discutibili, sicuramente non hanno mai sentito parlare di “comunicazione educativa”.
I ragazzi hanno delle disabilità che vanno dalla media alla grave. Si lavano i denti solo quando ci sono io (dato che sono l’unico volontario che può aiutarli) e fanno la doccia una volta alla settimana. Anche i vestiti spesso sono gli stessi durante la settimana. Escono a passeggiare sempre e solo se c’è un volontario, sono presenti 6-7 utenti per stanza e alle volte queste stanze vengono chiuse a chiave dall’esterno.
D’altro canto il rovescio della medaglia sono i laboratori. Al piano terra si trovano i laboratori di: ceramica, di computer, di arte, di cucina, il fisioterapista ed un manutentore che ripara le carrozzine dei ragazzi. Tutti sono gestiti da professionisti giovani ed in gamba. Mi ha stupito un ragazzo che ha iniziato a produrre musica nel laboratorio di computer ed ora vende un album di musica elettronica underground e fa concerti per la città. Anche l’arte di alcuni è incredibile ed è presentata con grande professionalità. Le mostre non sono fatte nel nome della disabilità, ma dagli artisti stessi disabili o meno. Purtroppo non tutti usufruiscono dei laboratori.
Sicuramente ci sarà molto altro da dire, ma questo dà un’idea di ciò che è la disabilità nel mondo dell’Internato, un mondo che non esce spesso dalle recinzioni e che si trova un po’ più lontano della città.

Per ora continuo il mio percorso, curioso dei suoi nuovi sviluppi.

Data ultima modifica: 23 dicembre 2020
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