Nacque il 16 novembre 1925 a Cinisello da Emilio Meroni e Maria Rizzoli. Celibe, di professione operaio, abitava in via Roma 3.
Agli inizi di aprile 1944 in Valsesia agiva la Legione Tagliamento, reparto specializzato nella lotta contro la guerriglia che era giunto in valle pochi giorni prima del Natale 1943. Agli inizi di aprile si avviò un’operazione di rastrellamento dell’alta Valsesia in grande stile, con arresti e fucilazioni. I partigiani, dal canto loro, uccisero in un’imboscata al Ponte della Pietà di Quarona 20 militi della Tagliamento. Seguirono numerosi atti di rappresaglia, tra i quali si iscrive anche una triplice fucilazione di Borgosesia, a qualche decina di metri di distanza dal luogo della prima esecuzione di civili e partigiani che risaliva al 22 dicembre 1943. A cadere in quest’occasione furono tre partigiani facenti capo alla 6^ Brigata Gramsci-Valsesia, arrestati in varie località della valle.
Meroni venne fucilato con Gaudenzio Cerini (1925, residente a Varallo-Vc) e Pietro Filippa (1912, nato a Cravagliana-Vc, residente a Trivero-Bi) l’11 aprile 1944 a Borgosesia (Vercelli), in piazza Frascotti, ora piazza Martiri. I corpi furono lasciati esposti per tre giorni, nonostante le pessime condizioni atmosferiche, come monito alla popolazione. Erano trascorsi due giorni dalla Santa Pasqua; una Pasqua tragica per molti italiani e anche per tanti cittadini di Cinisello Balsamo; infatti, alcuni di loro alla vigilia di quella stessa Pasqua giunsero nel Lager di Mauthausen. Anche l’amico di Meroni, Riviero Limonta, in quei giorni era rinchiuso a Mauthausen, o già nel sottocampo di Hartheim, dove morì.
Dopo la Liberazione la Commissione Riconoscimento Qualifiche Partigiane Lombardia gli riconobbe, per un periodo di quattro mesi e undici giorni, la qualifica di partigiano con la 119^ Brigata Garibaldi S.A.P. Quintino Di Vona.
L’Amministrazione comunale gli intitolò una via cittadina.
Il suo nome compare sulla lapide Ai martiri della Resistenza e della deportazione sita nell’atrio del Palazzo comunale in piazza Confalonieri 5.
PER APPROFONDIRE
La Resistenza in provincia di Vercelli
Nei giorni successivi all’8 settembre 1943 si sviluppò in tutta la provincia di Vercelli una vasta opera di solidarietà verso gli ex prigionieri di guerra alleati e verso i militari dell’esercito italiano sbandati (alcuni avviati ai valichi alpini verso la Svizzera, altri nascosti da famiglie contadine). Da treni in sosta alle stazioni di Santhià e di Vercelli vennero fatti fuggire soldati prigionieri dei tedeschi che stavano per essere deportati in Germania e furono costituiti in varie località comitati per l’assistenza agli sbandati. Alcuni di questi soldati decisero di prendere parte alla lotta contro i nazifascisti nelle formazioni partigiane.
Intanto si gettavano le basi degli organismi che sarebbero diventati i Comitati di Liberazione: a Biella era operante da alcuni mesi il Fronte Nazionale Antifascista, a Varallo si costituì il Comitato Valsesiano di Resistenza.
I primi Distaccamenti partigiani dedicarono i mesi autunnali all’organizzazione, all’approvvigionamento delle armi, delle munizioni e dei viveri e all’apprestamento di alcune basi in montagna. All’inizio si dovette, soprattutto nel Biellese, fare i conti con le posizioni attendiste di alcuni ufficiali dell’Esercito, ma ben presto la situazione mutò radicalmente e i Distaccamenti partigiani iniziarono le prime azioni contro le caserme dei Carabinieri e contro i presidi fascisti.
La prima vera azione di guerra ebbe luogo a Varallo dove, il 2 dicembre 1943, i garibaldini del Distaccamento Gramsci, comandato da Vincenzo Moscatelli (nome di battaglia Cino)*, attaccarono un contingente di camicie nere accasermato nel Municipio; i fascisti ebbero un morto, i partigiani alcuni feriti. Pochi giorni dopo, il 10 dicembre, i garibaldini biellesi attaccarono i fascisti che stavano deportando alcuni operai colpevoli di avere organizzato uno sciopero alla Filatura di Tollegno. Queste azioni furono la premessa di un deciso intervento dei partigiani in appoggio agli scioperi che si svilupparono in Valsessera a partire dal 15 dicembre, e che sfociarono nello sciopero generale delle maestranze del Biellese e della Valsesia.
Le azioni partigiane e gli scioperi richiamarono l’attenzione delle autorità della Repubblica di Salò su quanto stava avvenendo in queste zone. I ripetuti appelli del capo della provincia, Michele Morsero, tendenti a ottenere contingenti di Carabinieri, dell’Esercito o della costituenda Guardia Nazionale Repubblicana ebbero risposta; infatti venne inviato a Vercelli, e successivamente in Valsesia e nel Biellese, il 63° Battaglione Tagliamento che si rese responsabile di efferati massacri, incendi, saccheggi fin dai primi giorni della sua attività nella provincia.
Il 22 dicembre a Borgosesia furono trucidati, dopo una notte di torture, dieci collaboratori del movimento partigiano (tra essi l’ex podestà di Varallo, l’industriale Giuseppe Osella e un quindicenne, Mario Canova). Altri fucilati, per rappresaglia o semplicemente per intimidire la popolazione, si ebbero a Crevacuore, Cossato e Valle Mosso. A Biella, sempre il 22 dicembre, i tedeschi fucilarono cinque civili e due partigiani (uno riuscì a salvarsi).
Il 15 gennaio 1944 si costituì la Brigata Garibaldi Biella, la seconda d’Italia, formata dai sei Distaccamenti biellesi e dal distaccamento valsesiano. Il 18 febbraio, quest’ultimo, notevolmente ingrossatosi, costituì la 6^ Brigata garibaldina.
I primi mesi del 1944 furono contrassegnati da continui attacchi e rastrellamenti di tedeschi e fascisti per distruggere le unità partigiane, che erano riuscite perfino a occupare paesi, come nel caso di Postua.
Il 19 gennaio iniziò il primo grande rastrellamento contro le formazioni valsesiane, dislocate nella zona del Monte Briasco, che riuscirono a filtrare attraverso le maglie dell’accerchiamento e a ricongiungersi, stabilendo la nuova sede nell’alta Val Mastallone e il comando a Rimella. I fascisti sfogarono l’ira incendiando baite e razziando bestiame.
Il 20 febbraio, dopo alcuni rapidi attacchi nelle valli dell’Elvo, del Cervo e in Valsessera, i nazifascisti svilupparono un attacco in forze contro i distaccamenti biellesi, che ebbero undici morti, per lo più fucilati dopo la cattura, e diversi feriti. Pochi giorni dopo, il 24, cadde il comandante della Brigata, Piero Pajetta (nome di battaglia Nedo).
I Distaccamenti uscirono assai provati dai combattimenti ma mantennero la loro coesione. Venne deciso lo spostamento a Rassa in Valsesia per riorganizzare le forze. Qui però il 12 marzo le formazioni biellesi furono investite da un nuovo rastrellamento che costò la vita a diciotto partigiani.
Nel mese di aprile, il giorno di Pasqua, furono nuovamente attaccate le formazioni valsesiane.
La primavera, creando condizioni favorevoli alla guerriglia, consentì una rapida ripresa, favorita anche dall’affluenza di nuove reclute, di giovani che non vollero rispondere al bando di Graziani per l’arruolamento nelle file repubblichine, preferendo salire ai distretti della montagna. Ma il tributo di sangue fu ancora oneroso. Le perdite più ingenti si ebbero: l’8 maggio a Curino in Valsessera dove nove partigiani caddero in un’imboscata; il 17 maggio a Mottalciata dove tre partigiani furono uccisi in combattimento e diciassette fucilati dopo la cattura, infine il 4 giugno a Biella dove vennero fucilati ventidue partigiani catturati in un rastrellamento nella valle dell’Elvo.
Anche il nemico ebbe però in questi mesi numerose perdite: in uno scontro nei pressi di Quarona il 6 aprile caddero ventun legionari; sulle colline della Serra il 25 maggio una colonna tedesca ebbe venti morti e una cinquantina di feriti.
L’estate segnò una svolta per il movimento partigiano. Il 10 giugno la Valsesia venne interamente liberata: fu questa la prima delle zone libere che ben presto sorsero un po’ dovunque nel nostro Paese. Anche la Valsessera fu, per lunghi periodi, occupata stabilmente dai partigiani.
Ai primi di luglio iniziò la controffensiva nazifascista. Il 2 e il 4 si combatté per la difesa della zona libera valsesiana; ma il nemico, superiore per forze e mezzi, ebbe il sopravvento. I garibaldini dovettero ripiegare. Il 14 luglio ad Alagna, ai piedi del Monte Rosa, furono fucilati sedici partigiani (alcuni erano ex Carabinieri).
Il rastrellamento interessò anche la Valsessera che venne investita da un forte attacco: i partigiani biellesi resistettero e combatterono per tre giorni (dal 5 al 7 luglio) nei pressi di Crevacuore.
Il periodo, anche se breve, in cui le popolazioni della Valsesia e della Valsessera assaporarono la libertà dopo vent’anni di dittatura fascista, i frequenti interventi dei partigiani e la costante vicinanza, crearono una stretta unità tra combattenti e popolazione. Proliferarono i Comitati di Liberazione che assunsero compiti di Amministrazione civile, operando quali organi di potere democratico. Il C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) di Biella divenne uno dei più efficienti del Piemonte; si calcola che raccolse e distribuì fondi per un ammontare di circa centoventi milioni di lire; altri ingenti contributi furono raccolti dai C.L.N. di zona: il Comitato della Valsessera, ad esempio, gestì all’incirca altri trentaquattro milioni.
Intanto le formazioni valsesiane, riorganizzatesi dopo la Caporetto di Alagna, cominciarono a operare stabilmente nella pianura novarese; anche le formazioni biellesi applicarono la tattica della pianurizzazione; si posero obiettivi ambiziosi di attacchi in forze a grosse unità e a presidi fascisti. Fu concordata con formazioni valdostane un’azione mirante a liberare la valle di Gressoney. Toccò principalmente ai Battaglioni biellesi condurre l’operazione. Ma l’azione riusci solo in parte; il Distaccamento Caralli, che aveva attaccato Lillianes, fu costretto a ritirarsi perché da Ivrea arrivarono rinforzi fascisti, mentre il Distaccamento Bixio riusci a espugnare il presidio di Issime e a conquistare un ingente quantitativo di armi. Le perdite furono contenute nonostante l’asprezza dello scontro: undici morti e una decina di feriti.
Nei mesi di agosto e settembre, grazie a un ulteriore accrescimento degli effettivi, furono costituite nuove brigate, raggruppate in divisioni. Nel frattempo, cominciarono a essere paracadutate nel Biellese missioni alleate: dapprima la Bamon, composta da ufficiali italiani; poi la missione britannica Cherokee che ebbe giurisdizione su tutto l’alto Piemonte.
La Cherokee dispose di effettuare un grande lancio di armi che avvenne nei pressi della frazione Baltigati di Soprana (Valsessera) il 26 dicembre, in pieno giorno; si trattò di un lancio spettacolare, effettuato da ventiquattro quadrimotori. Intanto il giorno precedente la 75^ Brigata aveva occupato il paese di Cigliano e catturato cinquanta fascisti e un notevole bottino di armi, tra cui tre mortai da 81. Di questa operazione, compiuta in modo fulmineo, che costò solo tre feriti non gravi, diedero notizia le radio di Londra e di Mosca.
Il proclama del generale inglese Alexander, il comandante delle truppe sul fronte italiano, che invitava i partigiani a sospendere le operazioni e a svernare a casa, e la stasi sul fronte della linea gotica favorirono i nazifascisti, che ai primi di gennaio 1945 scatenarono un’offensiva di grande stile contro le Brigate biellesi. I partigiani non si fecero però sorprendere e, anziché ripiegare verso le montagne, fecero il vuoto di fronte all’avanzata e iniziarono azioni di disturbo alle spalle dello schieramento nemico.
Le azioni delle pattuglie e dei nuclei di guastatori delle Brigate garibaldine e della Brigata Giustizia e Libertà Cattaneo (che, proveniente dal Canavese, si era insediata nel Biellese durante l’estate) assunsero dimensioni tali da costituire una vera e propria controffensiva che arrivò fino alla periferia di Vercelli.
Il culmine delle operazioni invernali si ebbe il 1 febbraio, sulla Serra si svilupparono aspri combattimenti noti come la battaglia di Sala. Si lottò duramente lungo un fronte assai esteso, impegnando tutte le formazioni presenti: la 75^ e la 182^ Brigata composta prevalentemente da vercellesi; la Brigata Giustizia e Libertà; la 76^ Brigata Aosta (quest’ultima era stata originata dal Distaccamento biellese Caralli e in quel periodo era tornata, anche se provvisoriamente, nelle sue basi originarie).
Minime furono le perdite partigiane, consistenti quelle dei nazifascisti; esemplare fu il comportamento della popolazione che, dopo lo sganciamento dei partigiani, fece sparire ogni traccia della loro presenza, occultando il materiale e i feriti che non potevano essere evacuati.
Nelle settimane che seguirono fu un succedersi di attacchi, scontri, episodi che fiaccarono i fascisti. Inoltre i partigiani combattevano anche con l’arma della propaganda. A questa azione contribuì fortemente l’emittente Radio Libertà che riuscì a contrastare la vasta opera di disinformazione compiuta dalla emittente nazifascista Radio Baita, a smentire le notizie contrarie ai partigiani, a intaccare il morale dei fascisti e dei tedeschi diffondendo notizie sulla distruzione di città in Germania e sulle sconfitte dell’Esercito nazista sui vari fronti. Dalle formazioni fasciste iniziarono le diserzioni in massa: a gruppi gli alpini delle divisioni Monterosa e Littorio si affrettarono a raggiungere i reparti partigiani.
Il 9 marzo, a Salussola avvenne l’ultimo eccidio perpetrato dai fascisti: dopo orrende torture, ventun partigiani furono fucilati. In risposta il C.L.N. di Biella ordinò lo sciopero generale di protesta (l’ordine venne trasmesso da Radio Libertà) che si effettuò imponente in tutte le fabbriche.
In marzo e aprile si organizzò la difesa delle fabbriche in vista dell’abbandono della zona da parte dei nazifascisti. Il 24 aprile Biella era libera; il 25 veniva liberata Santhià, il 26 Vercelli. Le formazioni valsesiane, intanto, liberavano Novara e puntavano dritte su Milano
Ma le vicende belliche per la provincia di Vercelli non erano ancora finite; una grossa colonna di tedeschi in ritirata da Torino verso Milano, si fermò nella zona di Cavaglià, Santhià e Salussola e in parte del Canavese, compiendo rapine e devastazioni.
Il 29 aprile a Santhià i tedeschi uccisero il presidente del C.L.N. e tre garibaldini; il giorno successivo, all’alba, assalirono un Distaccamento della 2^ Brigata, uccidendo partigiani e civili. In queste tragiche giornate di sangue si ebbero in totale cinquantasette caduti.
La colonna, attestatasi sulle colline di Viverone, accettò infine la resa dopo che la missione alleata aveva minacciato di far intervenire l’aviazione. Il 2 maggio a Biella fu firmata la resa del 75° Corpo d’Armata tedesco e delle divisioni fasciste dipendenti.
La guerra era veramente finita.
Le formazioni partigiane della provincia di Vercelli
Zona operativa Valsesia
La zona operativa Valsesia del Corpo Volontari della Libertà, avente competenza anche per il Novarese, era diretta da un Comando Zona alle cui dipendenze operavano sette brigate Garibaldi (e relativi reparti dipendenti) inquadrate in due Divisioni.
Le formazioni garibaldine erano così strutturate: le Squadre erano composte da dieci-quindici uomini; tre Squadre formavano un Distaccamento, tre Distaccamenti un Battaglione, tre Battaglioni costituivano una Brigata, tre Brigate formavano una Divisione.
Nella zona le Divisioni e le Brigate erano così suddivise:
Comando zona militare Valsesia
comandante militare Eraldo Gastone Ciro, commissario di guerra Vincenzo Moscatelli Cino, capo di stato maggiore Aldo Benoni Aldo.
Divisione Garibaldi Fratelli Varalli:
81^ Brigata Garibaldi Silvio Loss, 82^ Brigata Garibaldi Giuseppe Osella, 84^ Brigata Garibaldi Strisciante Musati.
Divisione Garibaldi Gaspare Pajetta:
6^ Brigata Garibaldi Nello, 118^ Brigata Garibaldi Remo Servadei, 124^ Brigata Garibaldi Pizio Greta, Brigata Garibaldi Fronte della gioventù Eugenio Curiel.
Zona operativa Biellese
La I zona operativa piemontese del Corpo Volontari della libertà, denominata Biellese ma avente competenza anche per il Vercellese, era diretta da un Comando zona alle cui dipendenze operavano sei brigate Garibaldi (e relativi reparti dipendenti) inquadrate nella V e nella XII Divisione, una Brigata di polizia, una Brigata Giustizia e Libertà e due brigate S.A.P. (Squadre di Azione Patriottica) a loro volta suddivise in distaccamenti e squadre.
La brigata Giustizia e Libertà era di consistenza assai inferiore, rispetto alle brigate garibaldine, mentre il numero degli uomini organizzati dalle S.A.P., operanti soprattutto nelle campagne, variava da reparto a reparto.
Nella zona le Divisioni e le Brigate erano così suddivise:
Comando zona militare Biellese
comandante militare Domenico Marchisio Ulisse, vice comandante Felice Mautino Monti, commissario di guerra Anello Poma Italo, vice commissario William Valsesia Bibi, capo di stato maggiore Silvio Ortona Lungo.
V Divisione Garibaldi Piero Maffei:
2^ Brigata Garibaldi Ermanno Angiono Pensiero, 75^ Brigata Garibaldi Giuseppe Boggiani Alpino, 182^ Brigata Garibaldi Piero Camana Primula.
XII Divisione Garibaldi Piero Pajetta Nedo:
50^ Brigata Garibaldi Edis Valle, 109^ Brigata Garibaldi Pietro Tellaroli Barba, 110^ Brigata Garibaldi Elio Fontanella Lince, Brigata di Polizia, Brigata Giustizia e Libertà Cattaneo, Brigata Biellese Mario Graziola Arcos, Brigata Vercellese Boero.
*Vincenzo Moscatelli (Novara, 3 febbraio 1908 - Borgosesia, 31 ottobre 1981), nome di battaglia Cino.
Dopo l’8 settembre 1943 fu tra i promotori del Comitato valsesiano di Resistenza (il futuro C.L.N.) e svolse da subito un’intensa attività per l’organizzazione degli sbandati e della guerriglia.
Arrestato il 29 ottobre dai Carabinieri di Borgosesia, su mandato del comando germanico di Vercelli, fu prontamente liberato dai suoi compagni, sostenuti da numerosa folla, con un audace attacco alla caserma. Si rifugiò quindi con i primi fuori legge sul monte Briasco per organizzare azioni di guerriglia. Il Distaccamento Gramsci, di cui faceva parte, crebbe di numero fino a diventare una Brigata, la 6^ Brigata garibaldina costituita in Italia, di cui fu comandante. Dopo la liberazione della Valsesia Moscatelli contribuì a riorganizzare le formazioni e a costituire, grazie all’afflusso di nuovi combattenti, una Divisione. Vista la formazione nei mesi successivi anche di una Divisione nell’Ossola, venne costituito il raggruppamento delle divisioni garibaldine della Valsesia-Ossola-Cusio-Verbano, di cui Moscatelli fu commissario politico fino alla Liberazione.
Le Brigate garibaldine di Cino Moscatelli ed Eraldo Gastone (nome di battaglia Ciro) vennero poste alle dirette dipendenze del Comando generale delle Brigate Garibaldi e del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà.
Il dinamismo con cui Moscatelli seppe dirigere la lotta gli fruttò vasta popolarità; durante i venti mesi della Resistenza la sua figura divenne leggendaria.
Nell’ottobre del 1944 fondò e diresse il periodico La Stella Alpina, organo del raggruppamento garibaldino, che raggiunse una diffusione di migliaia di copie.
Nell’aprile 1945 le formazioni di Moscatelli parteciparono alla liberazione di Novara e marciarono poi su Milano, dove giunsero il 28 aprile, accolte da una folla in tripudio. Moscatelli, assieme a Longo e ad altri partigiani, tenne un comizio in piazza Duomo di fronte a migliaia di persone esultanti per la riconquistata libertà.
Per i meriti nella lotta partigiana fu congedato con il grado di tenente colonnello. Ricevette la Medaglia d’Argento al Valor Militare e la decorazione americana Bronze Star Medal. Nel dopoguerra sarà sindaco di Novara, deputato dell’Assemblea Costituente, senatore e deputato.
Vai alla scheda: "Agli antifascisti, ai resistenti, agli essere umani reclusi, torturati, assassinati all’Albergo Regina".
Vai alla scheda: "La storia nelle strade".
GALLERIA FOTOGRAFICA
25 aprile 1946, cimitero di Cinisello, fiori sulle tombe dei partigiani in occasione del primo anniversario della Liberazione
Gruppo di ragazzi di Cinisello nel 1942. Fila in alto, il quarto da sinistra è Pietro Meroni, il primo è Riviero Limonta che fu deportato e morì nel Castello di Hartheim (sottocampo di Mauthausen, Austria)