BORSELLINO PAOLO

Paolo Emanuele Borsellino nasce a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare La Kalsa, in cui vivevano tra gli altri anche Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta.
Dopo aver frequentato le scuole dell’obbligo Borsellino si iscrive al Liceo Classico Giovanni Meli di Palermo. Durante gli anni del liceo diventa direttore del giornale studentesco Agorà. Nel giugno del 1958 si diploma con otto in tutte le materie tranne in greco in cui ebbe nove.
L’11 settembre 1958 si iscrive a Giurisprudenza a Palermo. Dopo una rissa tra studenti neri e rossi erroneamente finisce anche lui di fronte al magistrato Cesare Terranova a cui dichiara la propria estraneità ai fatti. Il giudice sentenzia che Borsellino non é implicato nell’episodio.
Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra, nel 1959 si iscrive al F.U.A.N. (Fronte Universitario d’Azione Nazionale), organizzazione degli universitari del M.S.I. (Movimento Sociale Italiano), divenendo membro dell’esecutivo provinciale. Viene poi eletto come rappresentante studentesco nella lista del F.U.A.N. Fanalino di Palermo.
Il 27 giugno 1962, all’età di ventidue anni, Borsellino si laurea con 110 e lode con una tesi su Il fine dell’azione delittuosa, relatore il professor Giovanni Musotto.

Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, suo padre muore all’età di cinquantadue anni. Borsellino si impegna con l’ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita.
Durante questo periodo la farmacia viene data in gestione per un affitto bassissimo, 120.000 lire al mese, e la famiglia Borsellino è costretta a gravi rinunce e sacrifici. A Paolo viene concesso l’esonero dal servizio militare poiché egli risulta "unico sostentamento della famiglia".
Nel 1967 la sorella Rita si laurea in farmacia e il primo stipendio da magistrato di Paolo serve a pagare la tassa governativa.

Il 23 dicembre 1968 sposa Agnese Piraino Leto, figlia di Angelo Piraino Leto, a quel tempo magistrato presidente del Tribunale di Palermo. Nascono tre figli: Lucia, Manfredi e Fiammetta.

Nel 1963 Borsellino partecipa al concorso per entrare in magistratura; classificatosi venticinquesimo sui 110 posti disponibili, con il voto di 57, diventa il più giovane magistrato d’Italia.

Inizia quindi il tirocinio come uditore giudiziario, incarico che terminerà il 14 settembre 1965 quando sarà assegnato al Tribunale di Enna nella sezione civile.

Nel 1967 viene nominato pretore a Mazara del Vallo e nel 1969 a Monreale dove lavora insieme a Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri. Proprio qui ha modo di conoscere per la prima volta la nascente mafia dei corleonesi.

Il 21 marzo 1975 viene trasferito a Palermo e il 14 luglio entra nell’Ufficio Istruzione Affari Penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con Chinnici si stabilisce un rapporto non soltanto professionale ma quasi di adozione, come più tardi sarà descritto dalla sorella Rita e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell’Ufficio.
La vicinanza che si stabilisce fra i due uomini e le rispettive famiglie è intensa ed é al giovane Paolo, che Chinnici affida la figlia che abbraccia anch’essa la stessa carriera, in una sorta di tirocinio.

Nel febbraio 1980 Borsellino fa arrestare i primi sei mafiosi tra cui Giulio Di Carlo e Andrea Di Carlo legati a Leoluca Bagarella. Grazie all’indagine condotta da Basile e Borsellino sugli appalti truccati a Palermo a favore degli esponenti di Cosa Nostra si scopre il fidanzamento tra Leoluca Bagarella e Vincenza Marchese sorella di Antonino Marchese, altro importante boss. Il 4 maggio 1980 Emanuele Basile viene assassinato e viene decisa l’assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino.

In quell’anno si costituisce il pool antimafia nel quale, sotto la guida di Chinnici, lavorano alcuni magistrati fra cui Borsellino, Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Giovanni Barrile e funzionari della Polizia di Stato come Ninni Cassarà e Giuseppe Montana.
Nel racconto che ne fa lo stesso Borsellino, il pool nasce per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavorano individualmente, separatamente, ognuno per i fatti suoi, senza che uno scambio di informazioni fra quelli che si occupano di materie contigue possa consentire, nell’interazione, una maggiore efficacia con un’azione penale coordinata capace di fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità.
Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo é la collaborazione fra Borsellino e l’appena acquisito Di Lello che Chinnici ha voluto e richiesto in squadra. Di Lello prende giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produce e gliela rende la mattina successiva, dopo averla studiata come se fossero "quasi delle dispense sulla lotta alla mafia". E presto, senza che le note divergenze politiche possano essere di più che mera materia di battute, anche fra i due, il legame professionale si estende all’amicizia personale. Del resto é proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool. Come ebbe a dire Guarnotta: "si andava a esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi, in quella che era veramente la sua essenza."

Nel pool si va formando una gerarchia di fatto, come la definisce Di Lello, fondata sulle qualità personali di Falcone e Borsellino, tributari di questa leadership per superiori qualità - sempre secondo lo stesso collega - di "grande intelligenza, grandissima memoria e grande capacità di lavoro".
Tutti i componenti del pool chiedono espressamente l’intervento dello Stato, che non arriverà. Qualcosa faticosamente giunge nel 1982 a prezzo però di nuovo altro sangue eccellente quando, dopo l’omicidio del deputato comunista Pio La Torre, il ministro dell’interno Virginio Rognoni invia a Palermo il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa (che proprio in Sicilia e contro la mafia aveva iniziato la sua carriera di ufficiale) nominandolo prefetto.
E quando anche questi troverà la morte, cento giorni dopo, nella strage di via Carini, il Parlamento italiano riuscirà a varare la cosiddetta legge Rognoni-La Torre con la quale si istituisce il reato di associazione mafiosa (articolo 416 bis del codice penale) che il pool sfrutterà per ampliare le investigazioni sul fronte bancario, all’inseguimento dei capitali riciclati.
Questa é la strada che Giovanni Falcone e i suoi colleghi del pool maggiormente intendono seguire, una strada aperta anni prima dalle indagini finanziarie di Boris Giuliano (sul cui omicidio investigava il capitano Basile quando a sua volta venne assassinato) a proposito dei rapporti fra il capomafia Leoluca Bagarella ed il losco finanziere Michele Sindona.

Il 29 luglio 1983 viene ucciso Rocco Chinnici, con l’esplosione di un’autobomba; pochi giorni dopo giunge a Palermo da Firenze Antonino Caponnetto. Il pool chiede una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta ( Don Masino , come era chiamato nell’ambiente mafioso), catturato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia, inizia a collaborare con la giustizia.
Buscetta descrive in modo dettagliato la struttura della mafia, di cui fino ad allora si sapeva ben poco.
Nel 1985 vengono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l’uno dall’altro, il commissario Giuseppe Montana e il vice-questore Ninni Cassarà.
Falcone e Borsellino vengono trasferiti per sicurezza nella foresteria del carcere dell’Asinara, nella quale iniziano a scrivere l’istruttoria per il cosiddetto maxiprocesso che manderà alla sbarra 475 imputati. Si saprà in seguito che l’Amministrazione Penitenziaria aveva richiesto ai due magistrati un rimborso spese e un indennizzo per il soggiorno trascorso.

Il 19 dicembre 1986 Borsellino chiede e ottiene di essere nominato procuratore della Repubblica di Marsala. La nomina supera il limite ordinariamente vigente del possesso di alcuni requisiti principalmente relativi all’anzianità di servizio.

Secondo il collega Giacomo Conte la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo risponde a una sua intuizione per la quale l’accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona espone non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell’azione contro la mafia, ma anche al rischio di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne tiene le fila; questa collocazione, "solo apparentemente periferica" è, secondo questo autore, esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza.

Di parere difforme è Leonardo Sciascia, scrittore siciliano, il quale, in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera il 10 gennaio del 1987, si scaglia contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso", a conclusione di un’esposizione principiata con due autocitazioni. Si tratta della nota polemica sui cosiddetti professionisti dell’antimafia.
Borsellino commenta solo dopo la morte di Falcone, parlando il 25 giugno 1992 a un dibattito organizzato da La Rete e da MicroMega sullo stato della lotta alla mafia dopo la Strage di Capaci: "Tutto incominciò con quell’articolo sui professionisti dell’antimafia".

Secondo Umberto Lucentini, uno dei suoi biografi, Borsellino si era invece reso conto della crescente importanza delle cosche trapanesi e di Totò Riina e Bernardo Provenzano, all’interno della rete criminale Cosa Nostra, che ad esempio intorno a Mazara del Vallo e nel Belice, facevano ruotare interessi notevoli che occorreva seguire da vicino.

Nel 1987, mentre il maxiprocesso si avvia alla sua conclusione con l’accoglimento delle tesi investigative del pool e l’irrogazione di 19 ergastoli e 2.665 anni di pena, Caponnetto lascia il pool per motivi di salute e tutti, Borsellino compreso, si attendono che al suo posto venga nominato Falcone; ma il Consiglio Superiore della Magistratura non la vede alla stessa maniera e il 19 gennaio 1988 nomina Antonino Meli. Sorge il timore che il pool stia per essere sciolto.

Borsellino parla in pubblico a più riprese, raccontando quel che sta accadendo alla Procura di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate il 20 luglio 1988 a La Repubblica e a L’Unità, riferendosi al C.S.M., dichiara espressamente: "si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all’Ufficio. Hanno disfatto il pool antimafia. Hanno tolto a Falcone le grandi inchieste. La squadra mobile non esiste più. Stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa".
Per queste dichiarazioni rischia un provvedimento disciplinare e viene messo sotto inchiesta. A seguito di un intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, si decide almeno di indagare su ciò che succede nel Palazzo di Giustizia.

Il 31 luglio il C.S.M. convoca Borsellino, il quale rinnova accuse e perplessità. Il 14 settembre Antonino Meli, sulla base di una decisione fondata sulla mera anzianità di ruolo in Magistratura, è nominato capo del pool.

Borsellino torna a Marsala dove riprende a lavorare alacremente insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina.

Inizia in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo. Nel frattempo Falcone viene chiamato a Roma per assumere il comando della direzione Affari Penali e da lì preme per l’istituzione della Superprocura.

Con Falcone a Roma, Borsellino chiede il trasferimento alla Procura di Palermo e l’11 dicembre 1991 vi ritorna come Procuratore aggiunto, insieme al sostituto Antonio Ingroia.

Nel settembre del 1991 la mafia aveva già abbozzato progetti per l’uccisione di Borsellino. A rivelarlo é Vincenzo Calcara, picciotto della zona di Castelvetrano cui la Cupola mafiosa, per bocca di Francesco Messina Denaro (capo della cosca di Trapani), dice di tenersi pronto per l’esecuzione che si dovrà effettuare o mediante un fucile di precisione o con un’autobomba.
Assai onorato dell’incarico, che gli avrebbe consentito la scalata di qualche gradino nella gerarchia mafiosa, il mafioso attende l’ordine di entrare in azione come cecchino, qualora si fosse propeso per questa soluzione.
Ma Calcara viene arrestato il 5 novembre e la sua situazione in carcere si fa assai pericolosa poiché, secondo quanto da lui stesso indicato, aveva in precedenza intrecciato una relazione con la figlia di uno dei capi di Cosa Nostra, uno sbilanciamento del tutto contrario alle regole mafiose e sufficiente a costargli la vita.
Se da latitante poteva ancora essere utilizzato per lavori sporchi, da carcerato invece gli resta solo la condanna a morte emessa dall’organizzazione. Prima della fine del periodo di isolamento Calcara decide di diventare collaboratore di giustizia e si incontra proprio con Borsellino, al quale, una volta rivelatogli il piano e l’incarico, dice: "lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla". Dopo di ciò gli chiede di poterlo abbracciare e Borsellino avrebbe commentato: "nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d’onore mi abbracciasse".

Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell’XI scrutinio delle elezioni presidenziali, i 47 parlamentari del M.S.I. votano per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica.

Borsellino rilascia interviste e partecipa a numerosi convegni per denunciare l’isolamento dei giudici e l’incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste interviste Borsellino descrive le ragioni che avevano portato all’omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigura la fine (che poi egli stesso farà) che ogni giudice sovraesposto è destinato a fare.

Alla presentazione di un libro, alla presenza dei ministri dell’interno e della giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico viene chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla Superprocura. Alla sua risposta negativa Scotti interviene annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al C.S.M. di riaprire il concorso e invitandolo formalmente a candidarsi. Borsellino non risponde a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: "dal suo viso trapela un’indignazione senza confini".
Risponde al ministro per iscritto, giorni dopo: "la scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento".

Il 21 maggio 1992, due mesi prima di essere ucciso, Paolo Borsellino rilascia un’intervista ai giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi. L’intervista mandata in onda da Rai News 24 nel 2000, é di trenta minuti, quella originale era invece di cinquantacinque minuti. "All’inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso".
In questa sua ultima intervista Paolo Borsellino parla anche dei legami tra la mafia e l’ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri.
Alla domanda se Mangano fosse un pesce pilota della mafia al Nord, Borsellino risponde che egli é sicuramente una testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord d’Italia. Sui rapporti con Silvio Berlusconi invece, nonostante esplicitamente sollecitato dall’intervistatore, si astiene da qualsiasi giudizio.
Paolo Guzzanti sostiene che l’intervista trasmessa da Rai News 24 é stata manipolata, i giornalisti della rete gli faranno causa, ma sarà assolto. Vi é corrispondenza tra la cassetta ricevuta e il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte sono state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di cavalli in albergo per indicare un traffico di droga, non si riferisce a una telefonata fra Dell’Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell’intervistatore (che faceva riferimento ad un’intercettazione dell’inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma a una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.
Nel numero de L’Espresso dell’8 aprile 1994 verrà pubblicata una versione più estesa dell’intervista.
L’intervista e i tagli relativi alla sua versione televisiva saranno citati anche dal Tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Gaetano Cinà e Marcello Dell’Utri.
Nella sentenza verrà poi riportato il brano dell’intervista relativo all’uso del termine cavalli per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza sarà poi riportata l’intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell’Utri, relativa al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un cavallo, a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell’intervista a Borsellino.

Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in una intervista televisiva a Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di condannato a morte. Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si sarebbe lasciata scappare le sue vittime designate.

Borsellino muore a Palermo il 19 luglio 1992 a seguito di un attentato di mafia avvenuto in via D’Amelio dove trovano la morte anche i cinque agenti della scorta, 57 giorni dopo la morte di Falcone.

Una settimana dopo la strage, la giovanissima testimone di giustizia Rita Atria, che proprio per la fiducia che riponeva nel giudice Borsellino si era decisa a collaborare con gli inquirenti pur al prezzo di recidere i rapporti con la madre, si uccide.
Diversi pentiti di mafia ritrattano alcune accuse precedentemente espresse.

Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato: "Non c’è più speranza...", intervistato anni dopo da Gianni Minà ricorderà che: "Paolo aveva chiesto alla Questura - già venti giorni prima dell’attentato - di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze".

E’ insignito della Medaglia d’Oro al valor civile con la seguente motivazione: "Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.
Palermo, 19 luglio 1992"

Alla sua memoria sono state intitolate numerose scuole e associazioni.
L’aeroporto internazionale Falcone e Borsellino (ex Punta Raisi di Palermo) e un’aula della facoltà di Giurisprudenza all’Università di Roma La Sapienza sono state intitolati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Vai alla scheda: "Falcone e Borsellino - un binomio inscindibile, un articolo di Francesco La Licata".

Vai alla scheda: "Alle vittime delle stragi mafiose di Capaci e Palermo - lapide commemorativa - via Cilea 30 - nell’atrio del Commissariato di Pubblica Sicurezza".

Vai alla scheda: Agli agenti delle scorte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino - lapide commemorativa - via Diaz angolo via Martinelli - nel parco di Villa di Breme Gualdoni Forno".

Vai alla scheda:"Alle vittime della mafia - opera scultorea - via Gorki, 106 - nel parco del Centro Scolastico Parco Nord."



GALLERIA FOTOGRAFICA

Paolo Borsellino

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Paolo Borsellino e Giovanni Falcone

L’albero dedicato a Paolo Borsellino

Rosone in bronzo, opera di Tommaso Geraci, commemora Falcone e Borsellino presso l’aeroporto di Palermo a loro dedicato

Francobollo dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Il Comitato dei Lenzuoli di Palermo

Il murales a loro dedicato