GEROSA INES

Nacque l’8 marzo 1925 a Muggiò (Monza e Brianza) da Giovanni Battista Gerosa e Giulia Sironi. Abitava in via Campo Littorio 1 (oggi via XXV Aprile) a Cinisello Balsamo e svolgeva la professione di operaia alla V Sezione della Breda.

La notte tra il 13 e il 14 marzo 1944 fu arrestata presso la sua abitazione per aver partecipato allo sciopero iniziato l’1 marzo 1944 e che per otto giorni aveva bloccato le più grandi fabbriche del Nord.

Qualcuno ricordava che la notte tra lunedì 13 e martedì 14 marzo del 1944 soffiava un forte vento. Ma il piccolo paese di Cinisello Balsamo non fu svegliato solo dal vento o dagli allarmi per i bombardamenti. Uno strano movimento di gente per strada in più punti dell’abitato mise tutti in allarme. Erano i militi fascisti che, accompagnati da una lettiga per mascherare le loro vere intenzioni, stavano arrestando alcuni operai delle fabbriche di Sesto San Giovanni che avevano scioperato. Li prelevarono dalle loro abitazioni uno dopo l’altro come in una tragica Via crucis. Furono arrestati: Angelica Belloni, Rosa Crovi, Maria Fugazza, Ines Gerosa, Riviero Limonta, Giovanni Ragazzo, Rodolfo Remigi, Giovanni Vergani, Tarcisio Vergani, Addone Visioli e Marcello Zaffoni.
La stessa tragica scena si ripetè due settimane dopo, la notte tra lunedì 27 e martedì 28 marzo, quando ancora tutti si stavano domandando dove fossero finiti quei poveri malcapitati. Quella fu la volta di: Attilio Barichella, Cesare Berna, Fedele Fumagalli, Giuseppe Galbiati, Carlo Limonta, Giovanni Paravisi e Angelo Tesser. Solo Aldo Beretta riuscì a fuggire dalla sua abitazione; verrà però arrestato il 22 ottobre in un locale pubblico e deportato come tutti gli altri. Molti di loro non tornarono, lasciando a casa vedove, orfani e genitori disperati.
A quei tempi Cinisello Balsamo contava poco più di tredicimila abitanti; tutti sapevano quello che era accaduto e tutti si conoscevano, per cui la notizia di quegli arresti ingiustificati fu per il paese un vero sconvolgimento.

Ines Gerosa fu incarcerata dapprima a Monza, poi venne trasferita a Milano al carcere di San Vittore. Fu in seguito condotta a Bergamo e rinchiusa nella Caserma Umberto I.

Il 5 aprile venne caricata su vagoni piombati che partirono dalla stazione di Bergamo e giunsero a Mauthausen (Austria) l’8 aprile. In seguito fu trasferita al carcere centrale di Vienna (Austria). Il 2 maggio venne deportata al Lager di Auschwitz-Birkenau (Polonia) dove le venne assegnata la matricola 81294. Il 24 ottobre fu trasferita a Chemnitz (sottocampo di Flossenbürg - Germania) dove le venne assegnata la nuova matricola 56419. Infine, il 22 febbraio fu deportata a Leitmeritz (sottocampo di Flossenbürg - oggi Litoměřice nella Repubblica Ceca).

Il campo venne liberato dai sovietici l’8 maggio 1945. Ines Gerosa rientrò in Italia il 10 luglio 1945.

Morì il 6 agosto del 2004.

Dopo la Liberazione le fu riconosciuta, per un periodo di quindici mesi e venticinque giorni, la qualifica di partigiana operante con la 128^ Brigata Garibaldi S.A.P. (Squadre di Azione Patriottica) Angelo Esposti.

Il suo nome compare su uno dei masselli del monumento Al deportato sito all’interno del Parco Nord Milano a Sesto San Giovanni.

I deportati che partirono su vagoni piombati dalla stazione di Bergamo verso i campi di concentramento sono ricordati, senza indicazione del nome, sulla lapide Ai lavoratori deportati a seguito degli scioperi del 1944 nell’Italia settentrionale sita nella stazione ferroviaria di Bergamo.

PER APPROFONDIRE

Le cinque donne arrestate, tutte operaie della Breda, furono le uniche a essere deportate ad Auschwitz-Birkenau. Erano: Angelica Belloni di Balsamo, 18 anni, Maria Corneo di Sesto San Giovanni, 24 anni, Rosa Crovi di Balsamo, 16 anni, Maria Fugazza di Cinisello, 19 anni e Ines Gerosa di Cinisello che aveva compiuto 19 anni da pochi giorni.
Si trattava di ragazze molto giovani, in particolare Rosa Crovi, che tutti chiamavano Rosella, era la più giovane di tutti i deportati dell’area industriale di Sesto San Giovanni.
Furono arrestate tutte insieme, la notte tra il 13 e il 14 marzo 1944.
A parte Angelica Belloni che seguì percorsi diversi, le altre, un gruppo di sette donne tutte della Breda, rimasero quasi sempre insieme; opportunità che diede loro un sostegno per affrontare il dramma.

Cosa possono aver provato delle ragazze così giovani, prelevate da casa di notte, senza una spiegazione, portate in carcere senza aver commesso alcun reato?
Poichè i militi fascisti fecero credere che le avrebbero condotte a lavorare in Germania; i genitori si indebitarono per portare loro in carcere tutto l’occorrente per potersi vestire adeguatamente durante la permanenza in quel Paese.

I loro familiari, con quelli di altri deportati, andarono a Bergamo, dove erano state rinchiuse nella Caserma di Cavalleria Umberto I e buttate a dormire sulla paglia. Riuscirono unicamente ad assistere al triste corteo di quei disperati, dalla caserma alla stazione, da dove sarebbero partiti verso i Lager in Austria e in Germania. Ai lati, i parenti cercarono di salutarle, di abbracciarle, di avvicinarsi. Ma i soldati, urlando, impedirono ogni contatto.

Lì i fascisti consegnarono i deportati ai nazisti!

Partirono così, con la valigia che le famiglie avevano preparato per loro, su vagoni piombati, stipate con gli altri deportati. Dopo tre giornate di viaggio, arrivarono a Linz e Mauthausen in un giorno che avrebbe dovuto essere di festa: era l’8 aprile, la vigilia di Pasqua. Poi a piedi per chilometri, gli ultimi in salita verso il campo di Mauthausen, arrancando con la loro valigia. E poi Vienna e poi Auschwitz-Birkenau, sempre trascinando quella valigia. Solo alla fine compresero in che inferno erano arrivate. Solo dopo la doccia, la rasatura della testa, il numero inciso sul braccio; solo dopo che portarono loro via la valigia e in cambio ricevettero una divisa a strisce e un paio di zoccoli spaiati: solo allora compresero.

Privazioni, paura, fatica. Lavoravano anche dodici ore al giorno, nel Lager o nei campi, nelle fabbriche, anche sotto i bombardamenti. La mattina, dopo l’appello e la formazione dei gruppi di lavoro, si incamminavano a tempo di musica verso la destinazione, e se non marciavano a ritmo, aizzavano i cani.

Erano sempre affamate perché lavoravano tanto, ricevevano poco da mangiare, solo rape e carote, e poca acqua. Tutto veniva consumato in ciotole arrugginite.

E poi le selezioni. Chi non reggeva veniva eliminato. Oppure contavano l’undicesimo della fila, un numero a caso, mai lo stesso, ed eri morto. E quelle giovani ragazze erano costrette anche a trasportare i cadaveri al forno crematorio.

La privazione e la paura sono il primo passo verso l’annientamento della persona. Nel campo dovevano sfilare nude, anche le anziane, davanti ai soldati e davanti ai kapò.
Queste sono cose che non si dimenticano più.

Rosa Crovi dopo il ritorno non riuscì più a dormire al buio. Tutte le notti erano incubi. Tornata in città aveva anche trovato i paramenti funebri con il suo nome. Ines Gerosa ebbe la salute minata, problemi ai polmoni che la costrinsero negli ultimi anni della sua vita a stare attaccata alla bombola d’ossigeno.

Erano dimagrite per la fame e i patimenti subiti, ma tornarono gonfie, quasi irriconoscibili a causa dei medicinali che costringevano ad ingerire per bloccare il ciclo mestruale.

Diceva Ines Gerosa: “Credevano che fossimo andate volontarie per andare con i tedeschi, noi donne siamo state giudicate così quando siamo tornate, è stato uno schiaffo morale più di quello che abbiamo subito là”.
Per le donne il reinserimento nella vita di tutti i giorni fu tremendo: dopo tanti patimenti dovettero anche affrontare le malelingue, la cattiveria e l’ignoranza della gente.
Dopo la guerra nessuno voleva più sentire storie tristi, tutti volevano dimenticare e ricominciare da capo. Alcuni dei loro racconti, poi, erano davvero difficili da credere. Quello che avevano vissuto era veramente incredibile, era l’indicibile di cui parlava Primo Levi.

Eppure, nonostante le sofferenze e le umiliazioni subite, quel numero inciso sul braccio lo hanno sempre portato con orgoglio.

Dichiarazione 108^ Brigata Garibaldi
Stato di famiglia
Documento della Commissione Riconoscimento Qualifiche Partigiane
Rifiuto della richiesta di indennizzo da parte di IGFarbenindustrie
Elenco indumenti che Ines Gerosa portò con sè quando fu deportata e che servì per richiedere un rimborso
Attestato del Partito Democratico della Sinistra
Documento del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Servizio Internazionale di Ricerche
Rifiuto della richiesta di indennizzo da parte della I.O.M.
Scheda del Museo di Stato di Auschwitz Birkenau
Un ricordo di Ines Gerosa apparso su La Citta del 16 settembre 2004, un mese dopo la sua scomparsa
Testimonianza di Ines Gerosa tratta dal libro Streikertransport di Giuseppe Valota, presidente dell’A.N.E.D. di Sesto San Giovanni


GALLERIA FOTOGRAFICA

Ines Gerosa

Cimiero di Cinisello

Tomba, particolare

Parco Nord, Monumento Al deportato, massello dove è inciso il nome di Ines Gerosa

24 agosto 1945, Varazze (Savona), alcune deportate in una fotografia di gruppo; la Breda le aveva mandate al mare per riprendersi dopo la tragica esperienza del Lager

24 agosto 1945, Varazze (Savona), sul retro di una delle fotografie le deportate scrivono a una compagna che non aveva potuto essere con loro

Ines Gerosa con un’amica

Ines Gerosa

Ines Gerosa

Ines Gerosa con il fratello Ulderico primo da destra, il figlio Marco secondo da sinistra e Vittorio Trezzi terzo da sinistra

Con Giuseppe Marafante, ex deportato

Comune di Cinisello Balsamo, Sala Consiliare, da sinistra: Maria Fugazza, Ines Gerosa e Giuseppe Marafante durante la consegna delle Medaglie Ricordo alla memoria. A destra il sindaco Enea Cerquetti

Ines Gerosa

Ines Gerosa

L’edificio dell’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza) in via Campo del Littorio 1 (oggi via XXV Aprile) dove viveva e dove fu arrestata Ines Gerosa

La casa dell’E.C.A. che era ubicata dove oggi c’è il parcheggio davanti al Palazzo comunale; fu demolita nel 1985