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Ciclismo

Visto su due ruote il mondo era davvero un’altra cosa: più vasto, più affascinante, più frenetico, più nuovo.
All’inizio del XX secolo la bicicletta era il miraggio dei giovani meno abbienti, il mezzo che spalancava orizzonti sconosciuti, con cui si raggiungevano località giudicate sino a poco prima troppo distanti.
Sulle strade polverose delle campagne, e non solo in città, cominciavano a rombare anche le macchine e le moto, ma per le tasche dei nostro lavoratori erano inaccessibili.
La bici invece, pur con grandi sacrifici, era più abbordabile e gli appassionati di Cinisello e di Balsamo si imponevano parecchie rinunce pur di racimolare le palanche per comperarne una, magari usata, e ingaggiare sulle strade della Brianza gare palpitanti con gli amici.
C’era un giovanotto di Balsamo che in bici andava davvero forte: Carlo Oriani. In paese però lo conoscevano tutti con il suo soprannome, el Pucia, un nomignolo che sapeva di fame antica e di appetito robusto. Così Carlo Oriani inizia a partecipare alle corse, quelle vere, dimostrando subito il proprio valore: nel 1909 corre il Giro d’Italia classificandosi quinto assoluto; nel 1912 vince in volata il Giro di Lombardia e l’anno seguente su cicli Maino si aggiudica il Giro d’Italia, conquistando la maglia rosa al termine della dura tappa appenninica di Ascoli Piceno e concludendo la corsa trionfalmente al parco Trotter di Milano, davanti a centomila spettatori entusiasti.
I Balsamesi andavano fieri del loro campione al punto da sfiorare il fanatismo. I suoi più accesi tifosi prima di una gara solevano dire: - Che crépa la vacca ma che ’riva el Pucia. ("Che muoia pure la mucca, ma che el Pucia arrivi primo). E la mucca, allora, era una delle maggiori fonti di reddito per un contadino.
Purtroppo la Grande Guerra interrompe bruscamente la sua carriera. Ex muratore che alternava la vita in cantiere a quella di ciclista, Carlo Oriani viene arruolato nei bersaglieri ciclisti e nel 1917 muore di polmonite all’ospedale di Caserta dopo aver attraversato a nuoto il Piave nella tragica disfatta di Caporetto.
Dopo di lui il ciclismo locale esprime solo grandi appassionati, ma nessun valido atleta fino a Francesco De Rosa e a Giannino Negrini. Tra i due è soprattutto Negrini a dimostrare di possedere tutti i numeri per emulare le gesta del Pucia: Campione Lombardo dilettanti nel 1944 e Vice Campione d’Italia l’anno dopo. Tutti gli pronosticavano un grande avvenire tra i professionisti, ma non avevano fatto i conti con il destino: in poche settimane Giannino Negrini muore stroncato dal tifo.
Cinisello Balsamo perde il suo secondo campione, e in suo ricordo alcuni appassionati, Alberto Scurati tra i primi, fondano l’U.S. Negrini, che da allora ha svolto un ruolo fondamentale nella promozione delle competizioni ciclistiche e dello sport della bici tra i giovani.
Subito dopo la guerra è Remo Sala a tenere alto l’onore del nostro ciclismo, mentre i dirigenti dell’U.S. Negrini garantiscono ogni anno lo svolgimento della ’Coppa Negrini’, diventata una classica del calendario dilettantistico.
Negli anni Sessanta Alberto Scurati e Arturo Riva, i massimi esponenti dell’U.S. Negrini, organizzano diverse edizioni del ’Criterium degli Assi’: Gimondi, Motta, Merckx e tanti altri campioni della strada e della pista ingaggiano esaltanti duelli sull’anello di piazza Gramsci, acclamati da migliaia di spettatori.
Sono anni fertili anche per il vivaio dell’U.S. Negrini, che può contare su atleti del calibro di Virginio Levati, Carlo Oggioni e Paolo Bassan.
Anni che gli appassionati con qualche capello grigio ricordano anche per le imprese di Tino Conti con la maglia della Telewatt di Cinisello Balsamo, un atleta che da professionista vestirà più volte la maglia della Nazionale, ma soprattutto per i successi dei ciclisti della G.B.C., la squadra professionistica allestita con grande passione dal Presidente Jacopo Castelfranchi, che annovera alcuni dei più bei nomi di quel non lontano ciclismo: il tedesco Rudi Altig Campione del Mondo su strada, gli iridati della pista Gaiardoni, Faggin e Turrini, lo stayer De Lillo, il seigiornista Rancati e poi ancora Zandegù, Aldo Moser, Cribiori e Francioni.
La passione per i giovani talenti, la pazienza di seguirli e curarli portandoli al successo tra i professionisti trova negli anni Settanta un grande interprete in Angelo Vergani, che si avvale della preziosa collaborazione come direttore sportivo di Luciano Menecola.
Con loro nel Velo Club Cinisello Balsamo crescono e si impongono atleti del calibro di Giambattista Baronchelli, vincitore da dilettante di un Tour dell’Avvenire (1973) e tra i professionisti di due Giri di Lombardia, un Giro di Romandia, un Giro dei Paesi Baschi, un Trofeo Baracchi, secondo a un Giro d’Italia per una manciata di secondi battuto solo dal grande Eddy Merckx, secondo in un Campionato del Mondo su strada dietro a Hinault, vincitore di numerose classiche in Italia e all’estero. Sotto la guida di Vergani e Menecola passa tra i professionisti anche il fratello di Giambattista, Gaetano Baronchelli.
Nel 1976 il medico sportivo di Cinisello Balsamo Paolo Lucchetta si laurea in Messico Campione Mondiale su strada nella categoria ‘Gentleman’. L’anno seguente tocca a un altro atleta locale, Eugenio Ronchi, già discreto dilettante alla fine degli anni Quaranta, laurearsi Campione Mondiale nella stessa categoria conquistando il titolo a Pescara.
Sempre il dottor Lucchetta nel 1989 vince a Montreal la gara su strada del Campionato Mondiale Medici e l’anno dopo a Perpignan conquista il titolo sia su strada che a cronometro.
Negli anni Novanta è Marco Saligari a proseguire la grande tradizione degli stradisti di Cinisello Balsamo: dopo un brillante inizio di carriera su pista e su strada tra gli juniores e i dilettanti, nel 1985 si aggiudica 14 gare tra cui la classica Milano-Rapallo; nello stesso anno partecipa con la Nazionale al Tour dell’Avvenire e al Giro dell’Asia, che si aggiudica dopo aver vinto tre tappe su cinque; l’anno seguente difende i colori italiani al Campionato Mondiale di Colorado Springs al fianco di Maurizio Fondriest. Nel 1987 passa professionista con l’Ariostea, imponendosi subito all’attenzione dei tecnici e della stampa. Soprannominato il Commissario, Marco Saligari vince un Giro della Svizzera, un Giro della Calabria e il Gran Premio di Lanciano, va a segno in diverse tappe al Giro d’Italia, al Giro della Svizzera, alla Parigi-Nizza, al Giro di Catalogna e al Giro del Trentino. Brilla anche nelle prove di Coppa del Mondo: terzo ad un’Amstel Gold Race, ottavo in una Liegi-Bastogne-Liegi.
Indimenticabile resta la sua vittoria al Giro d’Italia con arrivo in salita in Val Varaita dopo una lunghissima fuga solitaria. Proprio come ai tempi eroici di Carlo Oriani.
Molti appassionati di ciclismo sono affascinati dal fenomeno del 2000: le granfondo.
Alberto Ferraris nel 1999 è uno dei primi italiani a concludere in 86 ore, pedalando senza fermarsi per quattro giorni e tre notti, la leggendaria Parigi-Brest-Parigi. Angelo Parolini nel 2000 percorre senza sosta i 650 chilometri da Roma a Bergamo in 36 ore.
Non meno epica è l’impresa di Rosario Palazzolo, giornalista de ’Il Giorno’, che nel 1990 in compagnia di Pietro Cavallo e Giorgio Poggi partecipa al NordKap, un tour ciclistico di 5.000 Km con partenza da Cinisello Balsamo e arrivo a Capo Nord in Norvegia.
Nel 1993 Palazzolo e Cavallo ripetono l’impresa. Questa volta il raid si svolge nella stagione invernale, con temperature tra i 5 e i 35 gradi sottozero. Rosario Palazzolo è il primo ciclista italiano a raggiungere Capo Nord in inverno dopo aver percorso in bicicletta i 1.800 Km. del tragitto in 18 giorni.

Data ultima modifica: 15 gennaio 2013
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