MARAFANTE GIUSEPPE

Nacque il 28 dicembre 1924 ad Adria (Rovigo). Abitava in via Cavour 7 a Cinisello Balsamo e svolgeva la professione di elettricista alla Ercole Marelli.

Dopo l’8 settembre 1943, con altri giovani di Cinisello Balsamo, maturò la volontà di raggiungere i partigiani in montagna. Si recò sul Monte San Martino per unirsi al Gruppo Militare Cinque Giornate Monte San Martino di Vallata Varese del tenente colonnello Carlo Croce.

Il 15 novembre, preceduta da un’incursione aerea che ostruì l’ingresso alle gallerie dove si nascondevano i partigiani, ebbe inizio una furiosa battaglia che durò fino al 18 novembre. Molti partigiani morirono, non è ben chiaro chi fu ucciso durante il combattimento e chi venne fucilato poco dopo.

Giuseppe Marafante, ferito da una granata lanciata dai tedeschi all’interno della sua postazione, fu aiutato da alcuni compagni e poi dai contadini a scendere a valle nascosto in un carro di fieno. Ricordava Marafante: "Ho proseguito per la Valganna e da qui per Milano. Non potevo andare in ospedale e così mi hanno nascosto in una casa. Poi sono stato tradito dal tenente Pizzato e da Luigi Brivio e, a causa loro, arrestato e portato a San Vittore e da lì deportato".

Infatti, a seguito di una delazione, a novembre del 1943 venne catturato a Porta Venezia, Milano, e portato prima alla Caserma di via Vincenzo Monti e in seguito al carcere di San Vittore. Dopo aver subito interrogatori ed essere stato messo in cella di isolamento, il 18 febbraio 1944 fu trasportato su un camion fino ai sotterranei della stazione Centrale e lì fatto salire su un treno in partenza dal tristemente noto Binario 21.

Il 21 febbraio 1944 giunse a Mauthausen (Austria) dove gli fu assegnata la matricola 53419. In seguito venne trasferito in diversi sottocampi di Mauthausen. Il 26 marzo fu rinchiuso a Wien Schwechat, il 17 agosto a Wien Floridsdorf, in seguito a Steyr e infine, il 30 aprile 1945, a Gusen (Austria).

Marafante fu uno dei deportati sopravvissuti all’esperienza del Lager.

Dopo la Liberazione gli fu riconosciuta, per un periodo di quindici mesi, la qualifica di partigiano operante con il Gruppo Militare Cinque Giornate Monte San Martino di Vallata Varese.

Fu per anni il presidente della sezione di Cinisello Balsamo dell’A.N.E.D. (Associazione Nazionale ex Deportati).

Giuseppe era fratello di Giovanni Marafante, partigiano che morì in combattimento in Val Grande.

Il suo nome compare su uno dei masselli del monumento Al deportato sito all’interno del Parco Nord Milano a Sesto San Giovanni.

I deportati che furono rinchiusi a Mauthausen e Gusen sono ricordati, senza indicazione del nome, sulle targhe dei Lager di Mauthausen e Gusen.

PER APPROFONDIRE

I primi cinisellesi che raggiunsero i partigiani in montagna erano tutti o quasi lavoratori della Breda che si unirono alla banda Carlo Marx di Spartaco Cavallini (operaio della Breda) al momento della sua costituzione: Eugenio Tagliabue (nome di battaglia Tom), Antonio Longo (nome di battaglia Mario), Stefano Ferrandi (nome di battaglia Pino, fratello di Enrico che fu un coraggioso partigiano della Divisione Valdossola), Bruno Giuliani e Mario Sala. Nella seconda metà di settembre anche un altro gruppetto di giovani operai scelse la strada dei monti: Valentino Colombo, Antonio Gambero, Franco Ghezzi, Mario Mandelli, Giuseppe Marafante e Giovanni Zuzzi.

Già dopo l’8 settembre 1943 Valentino Colombo, Franco Ghezzi e Giuseppe Marafante, agendo in piena autonomia, riuscirono a procurarsi armi, munizioni e bombe a mano in previsione di un trasferimento con le bande partigiane. Ricordava Giuseppe Marafante: “Alcune mitragliatrici le abbiamo rubate nel campo di aviazione di Bresso. Le abbiamo smontate dagli aerei e poi rese utilizzabili grazie a un meccanico che ci ha costruito i treppiedi. Le abbiamo poi portate a Vallalta con la camionetta.”

Raccontava Mario Mandelli: “Ho avuto come tutti un’educazione fascista anche se non mi sentivo fascista e ho svolto il corso pre-marinaio in quanto ero destinato alla Marina. Per la prima volta ho sentito parlare di politica e di scioperi nel marzo del 1943 alla Breda, dove lavoravo, e poi durante le manifestazioni del 25 luglio e delle settimane successive.
Sono andato in montagna il 20 settembre 1943 prendendo la decisione in un sol giorno, senza avere una chiara idea politica, ma solo un profondo spirito antifascista. Qualcuno, di cui però non ricordo il nome, aveva detto a me, a Colombo e a Ghezzi che c’era la possibilità di raggiungere i partigiani in Valsassina. Il giorno dopo siamo già sul treno alla volta di Lecco. Da qui a piedi, attraverso i sentieri, raggiungiamo il Pian dei Resinelli dove troviamo pochi uomini, scarso armamento e cibo limitato. Non c’era la possibilità di organizzare azioni e per di più veniamo attaccati dai nazifascisti. Ci disperdiamo tentando di salvarci. Io raggiungo Bergamo a piedi e ritorno avventurosamente a Cinisello. Qui, qualche giorno dopo, ritrovo i miei amici. Veniamo a sapere che sulle montagne attorno a Como si sta organizzando una formazione, che sarà poi la 52^ Brigata Garibaldi Luigi Clerici. Partiamo di nuovo ma, una volta sul posto, troviamo la stessa situazione del Pian dei Resinelli. Decidiamo allora di trasferirci tutti nel Varesotto, in Valcuvia, dove Carlo Croce aveva formato la Brigata Cinque Giornate."

I primi nomi che compaiono sul brogliaccio e sul ruolino a quaderno del tenente colonnello Croce nelle giornate dal 12 al 27 settembre 1943, e che risultavano presenti sul Monte San Martino, erano: Germano Bodo, Dino Capellaro, Artemio Sinigaglia, Vittorio Campanelli, Ettore Borghi, Antonio Giuffrida e Giambattista Bodo. Ai primi di ottobre si unì un gruppetto di varesini, tra cui Sergio De Tomasi. In seguito ne arrivarono altri dal Luinese, dal Varesotto, dal Novarese e, soprattutto, dal Milanese. Questi ragazzi arrivavano a gruppi ed erano spesso amici che abitavano nella stessa via o nello stesso quartiere, decisi a rimanere uniti in qualsiasi situazione.
Croce riceveva coloro che giungevano al San Martino dapprima nella caserma e, successivamente, nella casamatta per artiglieria di medio calibro, nella batteria in caverna Vittorio Emanuele, adibita per l’occasione a residenza e ufficio del comandante. Quasi sempre era già a conoscenza dell’identità delle persone, grazie a una fitta rete di informazioni dei Comitati di Liberazione e dei collaboratori antifascisti, civili e religiosi. Si avvaleva comunque, nel momento di accettare nuovi componenti, della collaborazione di Carabinieri presenti nella formazione, alcuni provenienti dalla Stazione dei Carabinieri di Sesto San Giovanni, tra cui Antonio Porcu*, Antonio De Lisio, Alessandro Fattore, Francesco Lettieri e Annibale Perversi. L’incontro consisteva in un breve dialogo e poi nella registrazione dei dati personali su apposito quaderno.
Valentino Colombo fu registrato come soldato il 15 ottobre 1943, Antonio Porcu vicebrigadiere il 17 ottobre, come Antonio De Lisio caporal maggiore, Alessandro Fattore caporal maggiore, Francesco Lettieri caporal maggiore, Annibale Perversi caporal maggiore. Il 24 ottobre vennero registrati: Antonio Gambero soldato, Franco Ghezzi soldato, Mario Mandelli soldato, Giuseppe Marafante soldato, mentre, senza indicazione della data, fu registrato Giovanni Zuzzi soldato.

Nella notte tra il 14 e il 15 novembre 1943 i tedeschi completarono, con l’utilizzo della milizia italiana e dei Carabinieri, l’accerchiamento della montagna e avviarono i reparti verso la zona d’azione.
La formazione partigiana si era ridotta di numero sia per le defezioni avvenute alla notizia dell’imminente azione tedesca sia per l’assenza di altri partigiani dovuta a cause diverse (tra questi sono assenti anche De Lisio e Porcu perché in missione).

Fra il 15 e il 18 novembre centinaia di uomini e donne furono catturati in tutti i paesi della valle, specialmente a Rancio Valcuvia. Il 15 novembre il colonnello Croce e i suoi uomini iniziarono a disturbare l’arrivo delle pattuglie nemiche bloccando le strade per Mesenzana, Arcumeggia e Duno. In quello stesso giorno arrivò la risposta tedesca con un attacco della Luftwaffe che sottopose a un durissimo bombardamento le postazioni arroccate sulla montagna. Dopo aver fatto prigionieri sei partigiani, tedeschi e fascisti attaccarono il resto della formazione con armi di ogni tipo. Scesa l’oscurità, quel che restava del gruppo partigiano si ricompattò e fuggì verso la Svizzera, raggiunta all’alba del giorno successivo.

Mandelli si salvò perché durante la battaglia si trovava a Cinisello, il suo compito era anche quello di procurare rifornimenti di armi, abiti e viveri per i partigiani in montagna. Ritornò sul San Martino a battaglia finita e seppe della morte di Valentino Colombo e di Franco Ghezzi.
Invece Antonio Gambero era riuscito a riparare in Svizzera. A febbraio del 1944 anche Mandelli si rifugerà in Svizzera a seguito di altri avvenimenti che lo avevano messo a rischio di arresto e deportazione.

*Antonio Porcu, vicebrigadiere della Caserma dei Carabinieri di Sesto San Giovanni. Il 9 settembre 1943, quando nel suo ufficio si presentò un ufficiale tedesco per chiedere la consegna di tutte le armi, gli oppose un secco rifiuto in quanto non era stato diramato alcun ordine in tal senso. Allora l’attenzione del nazista cadde sui ritratti appesi alla parete, dove campeggiavano i volti del re e di Badoglio, ma non più quello del duce. Pretese allora che fossero subito staccati e sostituiti con uno di Mussolini, ma ancora una volta si sentì rispondere dal vicebrigadiere Porcu che dal 25 luglio quelle erano le disposizioni. Allora l’ufficiale nazista estrasse la pistola e sparò l’intero caricatore sui due ritratti. Accertatosi che la rivoltella del nazista fosse scarica, Porcu sfoderò la sua, disarmò l’ufficiale e lo rinchiuse in una cella di sicurezza.
In seguito a ciò, il comandante della Caserma gli consigliò di fuggire perché i tedeschi non avrebbero lasciato impunito un simile gesto. Assieme a lui entrarono in clandestinità altri quattro carabinieri. Porcu, ancora in divisa e armato, montò in bicicletta e si diresse con gli altri a Monza. Qui un tenente della locale Caserma consigliò al gruppo di raggiungere Valcuvia, dove il comandante Carlo Croce stava organizzando uno dei primi raggruppamenti partigiani.

Concessione assegno vitalizio
Documento del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Servizio Internazionale di Ricerche
Testimonianza di Giuseppe Marafante tratta dal libro Streikertransport di Giuseppe Valota, presidente dell’A.N.E.D. di Sesto San Giovanni


GALLERIA FOTOGRAFICA

Giuseppe Marafante

Parco Nord, Monumento Al deportato, massello dove è inciso il nome di Giuseppe Marafante

Con la ex deportata Ines Gerosa

Comune di Cinisello Balsamo, Sala Consiliare, da sinistra: Maria Fugazza, Ines Gerosa e Giuseppe Marafante durante la consegna delle Medaglie Ricordo alla memoria. A destra il sindaco Enea Cerquetti

Con Daniela Gasparini, consegna di targhe commemorative

Una delegazione di deportati a Roma all’Altare della Patria, tra di loro anche Giuseppe Marafante

Marafante, secondo da destra, durante un pellegrinaggio nei Lager

Fosse Ardeatine, a sinistra Marafante

Pellegrinaggio, a destra Marafante, Maria Fugazza, ex deportata, deposita la corona

Pellegrinaggio nei campi, Marafante è il terzo da sinistra

Celebrazione a San Martino

San Martino, Marafante è terzo da destra, accanto a Gianfranco Maris

Marafante (a sinistra) con Gianfranco Maris, presidente Nazionale dell’A.N.E.D. (Associazione Nazionale ex Deportati)