SCULTURE E ANTICHI ARREDI NEL GIARDINO DI ERCOLE SILVA

Opere scultoree - via Frova 10 - all’interno del parco di villa Silva Ghirlanda Cipelletti

di Laura Sabrina Pelissetti

Il Conte Ercole Silva, autore del trattato Dell’Arte dei giardini inglesi (I edizione 1801, II edizione 1813), dopo aver ereditato la residenza di famiglia dallo zio Donato, ne rimodernò gli interni e ne trasformò il giardino - all’epoca suddiviso in sei aree a parterre en broderie (restituite nelle celebri incisioni della serie Ville o sia Palagi Camparaecci dello Stato di Milano di Marc’Antonio dal Re, 1726 e 1743) - secondo la nuova moda importata dall’Inghilterra. L’arte dei giardini “pittorici”, a cui Silva dedica interi capitoli del suo Trattato, riserva particolare attenzione alla dislocazione delle masse arboree ed arbustive, al fine di garantire da un lato la gradazione cromatica dell’insieme, dall’altro una sequenza di “quadri” di paesaggio in grado di suscitare sempre nuove emozioni nel fruitore, riconducibili alla cultura e al gusto del committente-ideatore.

La scelta di collocare sculture, lapidi e antichi arredi all’interno del giardino è da ricondurre proprio agli interessi e alle conoscenze acquisite da Ercole Silva nel campo dell’Antiquaria.

Nel capitolo del suo Trattato dedicato al Concepimento del piano di un giardino egli raccomandava infatti la collocazione di elementi decorativi ed arredi che “rispecchiassero” - attraverso la scelta e mediante la distribuzione - la cultura del suo ideatore-creatore: «Le tombe, gli obelischi, i templi, le grotte saranno artisticamente riposte, e con infinito giudizio. Dalla loro disposizione si riconoscerà il sapere, ed il gusto dell’artista, [...]».

Fu così che Ercole Silva, presumibilmente guidato dalla sua passione per le antichità (oltre ad essere un vero e proprio bibliofilo era un noto collezionista di reperti antichi ed anticaglie) fece realizzare un “Tempio di Giano in rovina” a ridosso del muro perimetrale del giardino, in prossimità dell’ingresso sud-est, mentre arricchì il bosco a destra del parterre con alcuni “avanzi” di antichi marmi fino alla collina, in cima alla quale fece erigere un tempietto rotondo dedicato alla Fortuna Avita.

Questa destinazione quasi “museale” del giardino è documentata dalle incisioni di Gaetano Riboldi pubblicate a corredo del Trattato del Silva ed è confermata dagli arredi ancora presenti in loco: sculture, sarcofaghi, vasi, resti di colonne, sedili in pietra, basamenti lapidei dispersi all’interno della vegetazione. Tra questi oggetti, hanno sempre destato particolare interesse il coperchio di sarcofago che reca la scritta “Et in Arcadia Ego”, a ricordo del celebre quadro di Nicolas Poussin, alcune sculture ancor oggi collocate a ridosso del parterre a prato e l’obelisco.

In generale, il giardino - come voleva la moda “all’inglese” - doveva indurre alla meditazione, alla riflessione, al ricordo, in sintonia con la cultura romantica ottocentesca.

Se la visione del finto coperchio di sarcofago doveva suscitare nel visitatore riflessioni sul tema della morte (la frase è un memento mori, solitamente interpretata come "Anche io in Arcadia"), di contro, le sculture presenti sul parterre sono un contributo tangibile all’esaltazione della casata dei committenti e degli aspetti positivi della vita di “villeggiatura” cinisellese.

Nella Descrizione della Villa Silva in Cinisello pubblicata anonima nel 1811, ma da ricondurre quasi certamente allo stesso Ercole Silva, si legge infatti, nel capitolo dedicato alla Descrizione del Giardino, p. 36: “Di fianco al ponte alla destra un oggetto appare involto fra le chiome di un salice piangente. Esso è una tomba, e vi sta scritto: Ed in Arcadia anch’io. Alla inaspettata vista di questo sasso vidi impallidire un giorno, ed interrompere i loro giuochi, e deporre le loro ghirlande, una truppa di villani, e villanelle, che ben vi ravvisarono in essa la rappresentanza dell’urna, in cui fu deposta la loro compagna, morta sul fior degli anni. Mi risuonano ancora all’orecchio le riflessioni di quella gioventù sulla morte, che non risparmia né età, né bellezza, e contro cui nulla ha riparo”. La Descrizione si chiude invece con uno sguardo sul parterre (p.42), che il Silva identifica con “[...] l’arenoso piano che circonda la casa, ai cui fianchi vi è un gruppo di quattro altissimi abeti da una parte, ed un’uccelliera architettonica, e dall’altra un elevato e superbo tasso, e due nicchioni ornati presso il muro fra arbusti a fiori e piante odorose.[...] Il basamento del palazzo è guarnito da gradinate con vasi di scelti e rari vegetabili. I laterali [...] che mettono al giardino, da una parte sono due arcuati viali di piante del frutteto, con parapetti a colonnette e dall’altra un tempietto dipinto a pergolato, con biblioteca volante, ed un nicchione colla statua di una musa”. Ancor oggi possiamo ammirare, a ridosso del prato, ciò che si conserva di questi arredi: una scultura in pietra rappresentante un leone, da ricondurre all’erma dei Silva, un putto su un delfino e una figura femminile con il busto ruotato ed ampie vesti, verosimilmente da riconoscere come la Musa citata da Ercole Silva.

Nelle successive edizioni della Descrizione della villa di famiglia (del 1843 e del 1855), ritroviamo invece puntualmente “[...] un simulato obelisco che rende più varia e adorna la scena”. La “guglia [...] in parte fiancheggiata da pini [...]”, tuttora presente nel giardino, doveva assolvere alla duplice funzione simbolica (a ricordo della civiltà egizia, riscoperta grazie alle Campagne napoleoniche, nonché oggetto riconducibile all’ascesi alchemica e alla cultura dell’esoterismo) e di punto focale delle “varie” vedute godibili dal parterre centrale verso la villa, la collinetta, o i reperti dislocati tra i sentieri. Già ricordato nella prima edizione del Trattato (1801), nella seconda edizione la costruzione dell’obelisco è data per conclusa, attestandone l’edificazione nel periodo in cui il giardino viene trasformato secondo lo stile del giardino all’inglese. Si tratta di un tipico arredo della sistemazione paesaggistica o “all’inglese”, che funge da fuoco ottico visibile da ogni angolo del giardino. Il significato simbolico, collegabile alla cultura dell’esotico e alla scoperta delle terre d’Egitto con le campagne napoleoniche, lo collega anche alle pratiche esoteriche, che si esplicavano anche attraverso un percorso iniziatico all’interno dei giardini.

PER APPROFONDIRE

"Et in Arcadia ego" appare nei titoli di due famosi dipinti di Nicolas Poussin (1594-1665) raffiguranti pastori ideali dell’antichità classica, raggruppati attorno ad una tomba austera. Mentre la prima versione del dipinto (ora a Chatsworth House) fu probabilmente commissionata come una rivisitazione della precedente versione del Guercino, in cui i pastori riscoprono una tomba seminascosta dai rampicanti, leggendo l’iscrizione con espressione curiosa, la seconda versione, più famosa e conservata a Parigi presso il Museo del Louvre, con il titolo "Les bergers d’Arcadie" (I Pastori di Arcadia), recentemente è stata associata con la pseudostoria del Priorato di Sion, resa popolare dai libri Holy Blood, Holy Grail e Il codice da Vinci.



GALLERIA FOTOGRAFICA

Piano del giardino a paesaggio

Sculture ai margini del parterre

Sculture ai margini del parterre

Veduta del parterre centrale del giardino della villa

Parterre

Veduta del parterre centrale del giardino

Facciata della villa prospiciente il giardino

L’obelisco all’interno del bosco di tassi

L’obelisco in una giornata di neve

Coperchio di sarcofago

Coperchio di sarcofago con l’iscrizione "ET IN ARCADIA EGO"

Coperchio di sarcofago

Una suggestiva immagine della villa con la neve