PRIMA GUERRA MONDIALE - ALCUNI DEI TEATRI DI GUERRA CHE HANNO VISTO IL COINVOLGIMENTO DEI CITTADINI DI BALSAMO E CINISELLO

Il tributo di vite umane che diede il piccolo Comune di Cinisello fu alto.
Quasi tutti i militari morti in combattimento, e probabilmente anche quelli dichiarati dispersi, caddero sul fronte italo-austriaco dove si concentrò l’attività bellica italiana.

Le forze militari italiane fin dall’inizio della guerra si schierarono sul fronte alpino, sulla linea di confine tra l’Italia e l’Austria. La linea del fronte sembrava una s rovesciata e coricata che andava dal Passo dello Stelvio fino al mare nei pressi di Monfalcone.

Il conflitto, oltremodo difficile per le asprezze del terreno, per l’altitudine e per le avverse condizioni atmosferiche, fu essenzialmente una guerra dura e statica a difesa dei reciproci confini. Le trincee e i ripari erano scavati in alta montagna lungo i 450 chilometri del fronte alpino che generalmente si sviluppava tra i 1000 e i 2000 metri di quota, ma raggiunse anche i 3000 sulla Marmolada e i 3400 sul massiccio dell’Adamello.

Ci furono atti di eccezionale abnegazione e coraggio tra le nostre truppe che combatterono in situazioni assolutamente ai limiti delle capacità umane di resistenza.

Gli austriaci occupavano posizioni più vantaggiose e sopraelevate rispetto a quelle italiane, inoltre le truppe italiane avevano uno scarso appoggio di artiglieria rispetto agli austriaci, così i pochi attacchi lanciati sulle Alpi fallirono con grande spargimento di sangue e scarsi o nulli progressi. Solo nel 1918 le nostre truppe, in piccoli gruppi di attacco, ottennero risultati più efficaci.
Il generale Luigi Cadorna aveva voluto una guerra d’attacco, le cosiddette spallate che si concentrarono sulla linea di confine lungo l’Isonzo, circa 80 chilometri da Tolmino al mare.

Gli austriaci difendevano il territorio facente parte a tutti gli effetti dell’Impero Austro-Ungarico e, pertanto, scelsero una tattica conservativa e prettamente difensiva, aiutati in questo dal terreno stesso.

Nei quarantadue mesi di guerra passati dai soldati in trincea, caldo e sete d’estate e freddo, fango e neve d’inverno, tra ratti, pidocchi e malattie, la tattica bellica del generale Cadorna fu unicamente quella di avanzare a tutti i costi fino all’esaurimento delle forze (umane) belliche, convinto che la supremazia di uomini, ma non di bocche di fuoco, che l’Italia poteva offrire, avrebbe portato a risultati favorevoli. In effetti fu una guerra di logoramento con attacchi di disumana crudeltà ed efferatezza. A fronte di poche decine di metri conquistati a ogni attacco, il tributo umano fu immenso.

Solo dopo la disfatta di Caporetto e la sostituzione del generale Cadorna con il generale Armando Diaz, l’esercito italiano seppe riorganizzarsi. Vennero reclutati i giovani della classe 1899 e gli anziani fino alla classe 1873 e vennero potenziate le artiglierie.
L’attacco finale dal Piave a Vittorio Veneto decretò la supremazia italiana che portò alla firma dell’Armistizio tra Italia e Austria, siglato a Villa Giusti (Padova) il 4 novembre del 1918.

Le Battaglie dell’Isonzo

La prima battaglia dell’Isonzo si svolse dal 23 giugno al 7 luglio 1915 e vide gli italiani in netta superiorità numerica rispetto agli austro-ungheresi, centomila uomini da contrapporre ai duecentomila schierati dalla 2^ e 3^ Armata; anche il parco artiglierie italiano risultò prevalente. Gli austriaci avevano il vantaggio di occupare posizioni naturali di un territorio che conoscevano, mentre gli italiani non avevano mai combattuto in quella zona. L’attacco frontale al grido di Avanti Savoia! non pagò dal punto di vista strategico e le perdite furono subito rilevanti. Artiglieria e truppe non erano ancora ben amalgamate nello svolgimento dei compiti e nel coordinamento delle azioni, di conseguenza gli assalti s’infransero contro i reticolati delle trincee austro-ungariche. In sostanza gli austriaci riuscirono a respingere il primo assalto e a tenere saldamente le posizioni sul Carso, a Gorizia e dintorni, ma in ogni caso gli italiani misero a segno qualche punto riuscendo a mettere piede sul Monte Nero e sul Colovrat e nella conca di Plezzo, nel settore dell’Alto Isonzo.

Non passarono molti giorni prima della seconda offensiva lanciata dagli italiani. Solo undici giorni dopo la fine della prima battaglia gli italiani tentarono nuovamente di espugnare le difese austro-ungariche. La seconda battaglia dell’Isonzo si svolse dal 18 luglio al 3 agosto 1915. Vi furono perdite rilevanti da entrambe le parti, ma gli italiani questa volta riuscirono a ottenere dei vantaggi più significativi. Ancora una volta il Comando Supremo insistette con gli attacchi frontali, nonostante la scarsa coordinazione dell’artiglieria. E’ da sottolineare che alle batterie italiane iniziavano a scarseggiare le munizioni e questo indusse Cadorna a sospendere gli attacchi. Le posizioni acquisite intorno a Gorizia furono cedute nuovamente ai contrattacchi austro-ungarici.

La terza battaglia dell’Isonzo cominciò il 18 ottobre e durò fino al 4 novembre 1915. Aveva come obiettivo principale l’occupazione della città di Gorizia. Le forze disponibili erano però sparse lungo la sottile linea marcata dall’Isonzo, da dove partivano attacchi contro le teste di ponte austro-ungariche di Tolmino e Plezzo e nel settore del Carso, precisamente contro il San Michele, monte dalle quattro cime occupate dagli austro-ungarici. Un ostacolo di tutto rispetto che doveva però essere eliminato per spianare la via verso Gorizia. La battaglia infuriò anche sul Monte Sei Busi, dove le trincee delle due parti in lotta distavano, in qualche punto, solo pochi metri. Il fronte, da Redipuglia a Peteano, era infuocato. Il 3 di novembre gli attacchi cessarono per un periodo di pausa molto breve.

In effetti il 10 novembre Cadorna ordinò l’ultimo sforzo offensivo per l’anno 1915. Era iniziata la quarta battaglia dell’Isonzo che si svolse dal 10 novembre al 5 dicembre e che può essere considerata come un prolungamento della precedente; la battaglia interessò esclusivamente la zona del Carso fino a Gorizia. La somma delle perdite complessive per entrambe le parti si contava in centinaia di migliaia di uomini; gli austro-ungarici iniziarono a preoccuparsi delle perdite, anche se il sistema difensivo ancora reggeva l’urto dei fanti italiani che vedevano nuovamente vanificati i loro sforzi. Nessuno degli obiettivi del Comando Supremo era stato raggiunto e ormai la stagione avanzata consigliava la sospensione delle operazioni in grande stile anche perché, considerate le perdite, entrambi gli schieramenti non potevano permettersi di continuare una lotta all’ultimo uomo.

Dal 9 al 15 marzo 1916 le truppe italiane furono impegnate nella quinta battaglia dell’Isonzo, in quelle che furono considerate unicamente delle azioni dimostrative organizzate per aiutare l’alleato francese. Il teatro di operazioni era, ancora una volta, il Carso e la testa di ponte di Gorizia e Tolmino. Inoltre il Comando Supremo dovette affrontare una situazione di emergenza nel Trentino dove si materializzò la spedizione punitiva austro-ungarica. Lo spostamento di truppe dal fronte dell’Isonzo a quello del Trentino interessò circa mezzo milione di uomini e, di conseguenza, tutte le azioni lungo l’Isonzo furono sospese. La situazione dopo la quinta battaglia dell’Isonzo rimase più o meno la stessa, con le trincee che continuavano a passare di mano in mano.

Sull’onda del successo acquisito demolendo la Strafexpedition voluta dal generale Conrad von Hotzendorf, il Comando Supremo si apprestò a lanciare un’altra offensiva lungo il fronte dell’Isonzo. Dal 4 al 17 agosto 1916 scoppiò infatti la sesta battaglia dell’Isonzo, conosciuta anche come battaglia di Gorizia. La città cadde in mano italiana grazie a brillanti manovre e a ben organizzate azioni diversive sul fronte di Monfalcone. Gli austro-ungarici, pur dominando posizioni favorevoli come il Monte Sabotino, Oslavia e il Podgora, nulla poterono contro gli assalti italiani lanciati dopo due giorni di mostruosi bombardamenti lungo tutta la direttrice dell’attacco. Brillante fu anche l’azione condotta dalle colonne italiane sul Monte Sabotino, che fu occupato in soli quaranta minuti. Le perdite durante la battaglia di Gorizia furono rilevanti per entrambi i fronti. Da rilevare che cadde in mano italiana anche il nefasto Monte San Michele, che gli austro-ungarici tentarono di rioccupare il 29 giugno, lanciando un attacco con gas asfissianti, attacco che si risolse con un nulla di fatto. Per gli italiani si trattava ora di estendere i vantaggi territoriali e offrire respiro a Gorizia, cercando di conquistare le alture circostanti per consolidare le posizioni acquisite, proseguendo l’avanzata.

Dal 14 al 18 settembre 1916 si svolse la settima battaglia dell’Isonzo che non portò il successo sperato, ma solo ad una guerra d’attrito tesa a logorare entrambe le parti in lotta. Cadorna era risoluto a continuare gli sforzi per progredire vero migliori posizioni e così il Comando Supremo organizzò un’altra spallata nel periodo dal 10 al 12 ottobre 1916 con l’ottava battaglia dell’Isonzo che, ancora una volta, si concluse solo con pesanti perdite.

L’inferno sul fronte dell’Isonzo era comunque destinato a continuare; dal 31 ottobre al 4 novembre 1916 le truppe italiane furono nuovamente impegnate con la nona battaglia dell’Isonzo nel tentativo di scardinare le difese austro-ungariche intorno a Gorizia. Non si riuscì a portare vantaggi rilevanti per il Comando Supremo. L’inverno ormai era alle porte, non rimaneva altro che rafforzare le posizioni e riorganizzare le forze disponibili in attesa degli eventi.

La decima battaglia dell’Isonzo iniziò il 12 maggio e durò fino al 5 giugno 1917, con grande spiegamento di forze. Durante l’inverno gli italiani ammassarono quante più batterie di artiglieria possibili per offrire il miglior supporto all’avanzata. La battaglia si sviluppò lungo il corso del fiume Isonzo, interessato da un poderoso bombardamento delle posizioni austro-ungariche. L’obiettivo della nuova offensiva era l’occupazione della selva di Tarnova che doveva essere raggiunta passando per l’altopiano della Bainsizza. Gli italiani riuscirono a passare l’Isonzo nei pressi di Zagora, dopo aver occupato il Monte Santo, mentre gli austro-ungarici riuscirono a organizzare una controffensiva (3 giugno) che, di fatto, tolse agli italiani quasi tutto il terreno acquisito durante la battaglia. I vantaggi acquisiti sull’altopiano della Bainsizza per arrivare alla selva di Tarnova non premiarono gli sforzi profusi.

Una pausa di un mese e mezzo circa permise di riorganizzare le forze e prepararle per la successiva undicesima battaglia dell’Isonzo che durò dal 17 al 31 agosto 1917. Qualcosa era cambiato ai vertici della 2^ Armata italiana l’1 luglio il generale Capello ne era divenuto il comandante. Si mise subito al lavoro diramando ordini secondo i suoi sogni di gloria e comunque non corrispondenti agli intendimenti del Comando Supremo. Cadorna che non era presente, perché impegnato a Parigi, quando rientrò trovò i piani già pronti. A soli due giorni dal lancio della nuova offensiva, non si poteva più modificare nulla. Sulla carta l’obiettivo principale era ancora la conquista della selva di Tarnova, ovviamente rafforzando l’occupazione dell’altopiano della Bainsizza. Capello stravolse invece gli intendimenti, decretando Tolmino quale obiettivo principale della 3^ Armata, anziché quello indicato da Cadorna. Cadde l’altopiano di Bainsizza che, ora completamente in mano italiana, diede enormi problemi per i collegamenti e i rifornimenti. Le linee austro-ungariche erano costantemente battute dalle artiglierie italiane, in modo particolare il Monte San Gabriele. Anche i sogni di gloria di Capello si infransero contro la testa di ponte di Tolmino. Le manovre erano troppo articolate e le comunicazioni tra i vari reparti erano quasi impossibili; mancò il coordinamento e pertanto, anche nell’Alto Isonzo, si arrivò ad un nulla di fatto.

Con la linea del fronte austro-ungarico intorno a Gorizia, a rischio di collasso a seguito dell’undicesima battaglia dell’Isonzo, i tedeschi decisero di intervenire in aiuto dei loro alleati in modo da alleggerire la pressione italiana. Cadorna aveva ricevuto rapporti sulla ricognizione aerea che indicavano movimento di truppe tedesche dirette in zona Alto Isonzo. Anziché continuare con le offensive, decise di passare a una linea difensiva nell’attesa degli eventi. A Capello, comandante della 2^ Armata italiana sul fronte dell’Alto Isonzo, arrivarono ordini per organizzare la linea difensiva. Ancora una volta interpretò gli ordini a modo suo organizzando una linea offensiva, ammassando truppe per un attacco al fianco meridionale dello schieramento austro-ungarico nei dintorni di Gorizia, lasciando sguarnito il settore di sua competenza, in accordo con gli ordini ricevuti dal Comando Supremo.

Alle due del mattino del 24 ottobre fino al 12 novembre si svolse quindi la dodicesima battaglia dell’Isonzo, conosciuta anche come la disfatta di Caporetto. Le artiglierie austro-tedesche furono impegnate in un colossale bombardamento con granate a gas e fumogene. Le forze combinate riuscirono a scardinare il cordone difensivo italiano, cogliendolo di sorpresa e ad avanzare rapidamente a colpi di bombe a mano e lanciafiamme. Furono molte le truppe regie che furono batture dalla rapida avanzata austro-tedesca, molti soldati dovettero prendere la via dell’internamento nei campi di prigionia dell’impero. La dodicesima battaglia dell’Isonzo era terminata e iniziò così una ritirata italiana su più linee. Fu un vero disastro perché nel giro di pochi giorni gli italiani persero tutto il territorio conquistato. Le conseguenze della rotta di Caporetto furono pesanti. Cadde il ministro Salandra, Cadorna venne sollevato dal comando e rimpiazzato dal generale Diaz, che tentava di organizzare una linea difensiva organizzando l’esercito con nuovi effettivi su una linea che doveva arginare la costante avanzata austro-tedesca.

Alla fine delle ostilità la sommità del Monte San Michele venne acquistata dallo Stato e dichiarata Zona Sacra. Il limite della Zona Sacra è segnato da cinquantatre cippi marmorei che ricordano i nomi dei Reparti che lì si batterono e dei caduti che meritarono la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Un piccolo Museo raccoglie cimeli, fotografie e documenti. La grande caverna (con sei cannoniere, gallerie scavate dagli italiani e che la rotta di Caporetto impedì di equipaggiare con gli obici, rivolte verso il Monte Faito e due verso il Monte Hermada) venne scavata dopo la conquista italiana. A Cima 3 di Monte San Michele si trova una lapide posta dal Duca d’Aosta che reca l’epigrafe: "Su queste cime italiani ed ungheresi combattendo da prodi si affratellarono nella morte, luglio MCMXV / agosto MCMXVI"

La Battaglia degli Altipiani

Fu una durissima battaglia combattuta tra il 15 maggio e il 27 giugno 1916 tra l’esercito italiano e quello austro-ungarico sugli altipiani vicentini, impegnati in quella che era stata definita in italiano come spedizione punitiva (dal tedesco Strafexpedition) mentre in tedesco come Frühjahrsoffensive (offensiva di primavera).
Iniziò su un fronte di circa 40 km dalla Val Lagarina alla Valsugana. I combattimenti si concentrarono sugli altipiani di Tonezza e Asiago dove le truppe italiane furono costrette a indietreggiare nonostante la strenua resistenza opposta soprattutto nei settori del Coni Zugna, Passo Buole, Pasubio, Cengio, Cimone. Il 27 maggio gli attaccanti conquistarono Arsiero e il giorno dopo Asiago: l’invasione verso Schio e Bassano sembrava inevitabile. Ma il rapido concentramento di rinforzi fatti affluire da altri fronti, che in parte andarono a costituire la nuova V armata schierata in pianura, permise al comando supremo italiano di arginare la pressione avversaria sull’estremo limite degli altipiani. Il 16 giugno gli italiani passarono al contrattacco e alla data del 24 luglio fu riconquistata circa la metà del terreno perduto. La Strafexpedition, tra morti, feriti, dispersi e prigionieri, ebbe pesanti conseguenze per entrambi gli eserciti: l’impero austro-ungarico perse circa 83.000 uomini, l’Italia circa 147.000.

I numeri

I caduti
Il totale di 10 milioni di vittime, che non comprende i civili, è approssimativo ma fa comprendere la dimensione mondiale della tragedia. Le cifre ufficiali parlano di 1.800.000 morti tedeschi, 1.350.000 francesi, 1.300.000 austro-ungheresi, 750.000 inglesi. Anche se le cifre ufficiali parlano di 650.000 morti italiani, qualche storico ipotizza che il numero globale raggiunse il milione, calcolando le decine di migliaia di militari che morirono anche anni dopo il conflitto in conseguenza delle malattie o delle ferite contratte in guerra.
100.000 furono i morti americani, mentre i russi lasciarono sul campo tra 1.700.000 e 2.500.000 morti; Romania, Turchia, Serbia e Bulgaria arrivano a oltre 1.000.000 di militari caduti.

I morti in prigionia
Furono circa 100.000 i soldati morti in prigionia, su circa 600.000 prigionieri..La morte poteva sopravvenire in conseguenza di ferite riportate nei conflitti a fuoco, ma più verosimilmente la maggior parte di decessi avvenne per le privazioni e le malattie contratte durante la prigionia.
L’aspetto più penoso della condizione dei prigionieri fu il sospetto diffuso che la resa fosse dovuta a insufficiente volontà di lotta, a vigliaccheria, forse addirittura a una diserzione mascherata. L’azione delle autorità politiche e militari fu volta a ridurre la prigionia a problema privato e secondario. Erano le famiglie dei prigionieri che dovevano preoccuparsi di inviare loro aiuti mentre lo Stato interveniva per frenare e impedire questi aiuti. Fu perfino fatto divieto alla Croce Rossa di raccogliere aiuti per i prigionieri. Anche a causa di questo ignominioso atteggiamento delle autorità e della propaganda le morti dei prigionieri italiani furono le più numerose.

I morti per malattia
100.000 circa furono i morti per malattia durante il conflitto, contro i circa 500.000 caduti in combattimento fino al 1918. Un numero alto di morti, dovuto solo in parte alle conseguenze di ferite, ma piuttosto alle disumane situazioni di vita nelle trincee. Il cibo scarso, la promiscuità della vita in trincea, l’eccessivo sfruttamento delle truppe, la mancanza delle più elementari regole di igiene furono alcune delle cause dei decessi, insieme a malattie “caratteristiche delle trincee” quali: la dissenteria batterica, le affezioni reumatiche, la meningite, le malattie veneree e la malaria. Solo dopo l’inverno 1915/1916 si poté procedere alla vaccinazione delle truppe contro il colera, diffuso sul fronte dell’Isonzo, e il tifo. Si calcola che dopo il conflitto ci furono altri 50.000 decessi per malattie o privazioni subite in prigionia, o comunque legate alle situazioni di guerra.
La prima guerra mondiale aveva appena ucciso dieci milioni di persone, quasi esclusivamente militari, quando in sei mesi, tra la fine dell’ottobre 1918 e l’aprile 1919, l’influenza spagnola colpì un miliardo di persone uccidendone almeno 50 milioni; circa 375.000 (ma alcuni sostengono 650.000) soltanto in Italia. Non è mai stato tuttavia possibile quantificare con esattezza né il numero delle vittime né quello dei contagiati. La spagnola (portata in Europa dalle truppe statunitensi e diffusasi velocemente nelle trincee) mise in ginocchio l’intera Europa con un tasso di mortalità spaventoso che raggiunse in alcune comunità anche il 70%.


PER APPROFONDIRE

L’undicesima battaglia dell’Isonzo venne combattuta anche da Sandro Pertini con il grado di tenente. Per aver espugnato con pochi uomini alcune postazioni difese da mitragliatrici, fu proposto alla Medaglia d’Argento al Valor Militare. La medaglia non venne approvata subito e in seguito, il regime fascista occultò la notizia dato che Pertini era socialista e antifascista. La richiesta di medaglia venne riscoperta quando Pertini fu eletto presidente della Repubblica Italiana ma gli venne consegnata, per sua esplicita richiesta, solo nel 1985, allo scadere del suo mandato da Presidente della Repubblica.

Vai alla scheda: "Prima guerra mondiale" - i monumenti alle vittime delle guerre.

Vai alla scheda: "Le vittime della prima guerra mondiale".



GALLERIA FOTOGRAFICA

Cannoni sull’altopiano di Asiago

Quello che rimane della vegetazione alpina dopo un assalto sull’altopiano di Asiago

Altopiano di Asiago, prigionieri italiani

Caverne sul Carso

Soldati sul Carso

1917, fronte sull’Isonzo

Soldati sull’Isonzo

Alpini

Squadra di genieri al lavoro

Discesa dei feriti

Schema della struttura ospedaliera dalla prima linea agli ospedali territoriali

Medico e crocerossina con un soldato ferito

Visco (Udine), ospedale da campo

Palmanova (Udine), ospedale da campo

Treno ospedale