Maurizio Arnesano nasce il 20 luglio 1960 a Carmiano in provincia di Lecce. Entra in Polizia nel 1978; dopo aver frequentato la Scuola Allievi di Vicenza, presta servizio presso la Questura di Roma.
Il 6 febbraio 1980, mentre è in servizio di vigilanza davanti all’Ambasciata del Libano a Roma, viene aggredito alle spalle da due terroristi di estrema destra appartenenti ai N.A.R. (Nuclei Armati Rivoluzionari), identificati poi in Valerio Fioravanti e Giorgio Vale.
I due terroristi cercano di impossessarsi del suo mitra Beretta M-12 con il quale stava prestando servizio. Nel corso della violenta colluttazione Fioravanti lo uccide sparandogli alcuni colpi di pistola.
Arnesano aveva appena mandato una sua fotografia con un biglietto alla famiglia: "Non vi preoccupate, sono ancora vivo".
Il giorno seguente il presidente della Repubblica Sandro Pertini si reca a rendere omaggio alla salma dell’agente ucciso. I funerali si svolgono l’8 febbraio a Carmiano, paese natale di Arnesano.
Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, il 13 aprile 1981 dichiarerà al sostituto procuratore di Roma: "La mattina dell’omicidio di Arnesano, Valerio mi disse che un poliziotto gli avrebbe dato un mitra. Io, incredulo, chiesi a che prezzo ed egli mi rispose: ’gratuitamente’. Fece un sorriso e io capii".
Non era certo un fatto usuale che i neofascisti sparassero a poliziotti e giudici, ma le giovani leve dell’eversione nera cominciano a far fuoco su divise e toghe proprio per rompere con la tradizione statalista e filogovernativa dei loro predecessori, per spazzare il campo da ogni stereotipo che consideri l’estrema destra e le strutture dello Stato repressivo, come Forze dell’Ordine e Magistratura, alleati naturali.
Valerio Fioravanti, l’assassino di Maurizio Arnesano, viene arrestato nel 1981 a Padova dopo essere stato ferito in un conflitto a fuoco con una pattuglia di Carabinieri, nel corso della quale due militari vengono uccisi.
Con sei sentenze della Corte d’Assise d’Appello, Fioravanti viene condannato per numerosi reati, tra cui terrorismo, furto e rapina, a 8 ergastoli e al carcere per complessivi 134 anni e 8 mesi, sconterà in tutto 26 anni di reclusione, compresi 5 di libertà vigilata. Sarà riconosciuto colpevole anche della strage di Bologna del 2 agosto 1980 e complessivamente dell’omicidio di 93 persone. Dal luglio 1999 fruisce del regime di semilibertà con lavoro esterno presso l’associazione Nessuno tocchi Caino.
A Maurizio Arnesano fu intitolata una scuola media di Cinisello Balsamo, ora chiusa. La struttura ospita attualmente alcuni uffici comunali, mantenendo la denominazione di Arnesano, rimasta per identificare l’edificio.
L’Amministrazione comunale di Cinisello Balsamo ha intitolato a Maurizio Arnesano una via cittadina.
Il 24 settembre 2004 Arnesano viene insignito della Medaglia d’Oro al Merito Civile dalla Presidenza della Repubblica con la seguente motivazione: "Impegnato in servizio di vigilanza nei pressi di un’Ambasciata, veniva mortalmente ferito da colpi di arma da fuoco in un vile attentato posto in essere da due terroristi. Mirabile esempio di elette virtù civiche e attaccamento al dovere. 6 febbraio 1980 - Roma".
Il 9 maggio 2010, in occasione del Giorno della Memoria delle Vittime del terrorismo, presso la Prefettura di Lecce, viene insignito della Medaglia alla Memoria.
PER APPROFONDIRE
Maurizio Arnesano, 19 anni, agente di P.S., non è l’unica vittima del terrorismo nero. Come lui nello stesso periodo cadono anche Francesco Evangelista* detto Serpico, 37 anni, appuntato di P.S. e Mario Amato**, 43 anni, sostituto procuratore della Repubblica. Due poliziotti e un giudice, due divise e una toga indossate da gente che viene dal Sud, Servitori dello Stato. Lo Stato rappresentato dal presidente della Repubblica Pertini che, curvo su se stesso e con espressione irata, rende omaggio alle loro salme, lo Stato che, a detta dei colleghi degli stessi caduti, li ha lasciati uccidere, lo Stato che raramente si ricorda di loro al momento di rievocare le vittime dell’eversione.
Cadono a poche settimane di distanza l’uno dall’altro nella primavera fascista di sangue del 1980 quando l’Italia è scossa quasi ogni giorno dagli omicidi firmati Brigate Rosse e confida nel pugno di ferro del generale Dalla Chiesa.
C’é poco spazio per queste tre vittime del terrorismo nero, chiuse come sono fra avvenimenti che finiscono per avere il sopravvento sul loro sacrificio, costrette in secondo piano da vittime più illustri o rumorose.
L’agente Arnesano viene ucciso una settimana prima di Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ammazzato dalle B.R. (Brigate Rosse). L’appuntato Evangelista muore tre ore prima che il commando della Brigata 28 marzo uccidesse a Milano il giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi. Mario Amato viene assassinato a quattro giorni dalla strage di Ustica, un mistero che ha inghiottito ottantuno persone.
Strano destino quello di Mario Amato, in tre anni di lavoro alla Procura di Roma sembra che si sia fatto solo nemici: fuori dal suo ufficio, gli inquisiti che lo hanno condannato a morte, mentre dentro si sente isolato.
Eredita i fascicoli del collega Vittorio Occorsio, ucciso un anno prima dal terrorista nero Pierluigi Concutelli. Ma nonostante ciò, non ha un uomo di scorta, un’auto blindata, niente. A volte prende un autobus per tornare a casa. Ma soprattutto é solo a indagare sui neofascisti, solo con un agente di polizia, suo collaboratore.
In questo stesso periodo ci sono quattro sostituti procuratori impegnati nell’inchiesta sul Totonero, mentre per l’eversione di destra, anche dopo gli omicidi dei rossi e di Arnesano, basta Mario Amato.
Nelle relazioni semestrali al Parlamento sulla politica informativa e della sicurezza, i presidenti del Consiglio, su indicazione dei Servizi Segreti, dedicano solo poche righe al fenomeno.
Il 23 novembre 1979 Francesco Cossiga si limita a comunicare che dal maggio al novembre di quell’anno, nell’attività di ricerca e individuazione dei gruppi eversivi dell’estrema destra, sono stati forniti agli organi operativi di Polizia Giudiziaria i risultati acquisiti dal servizio S.I.S.De. (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica) a seguito di apposita azione informativa concernente alcuni elementi operanti in Italia settentrionale.
Sei mesi più tardi, il 23 maggio 1980, ancora il presidente del Consiglio Cossiga afferma: "Per quanto riguarda l’attività eversiva di destra, nel corso del semestre si è registrata una flessione quantitativa del fenomeno. Nel contempo, dell’attività informativa in direzione di tale settore sono state di volta in volta segnalati al Ministro dell’Interno e alla Polizia Giudiziaria numerosi elementi informativi di interesse".
Nella solitudine del suo ufficio, Mario Amato, giudice riservato ma deciso e caparbio, scrive molte volte ai suoi superiori diretti e, in particolare al Consiglio Superiore della Magistratura racconta gli attriti col procuratore Giovanni De Matteo.
Dopo i parziali successi delle indagini su singoli episodi terroristici, dice davanti al Consiglio Superiore della Magistratura, solo 10 giorni prima di essere ucciso: "sto arrivando alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali degli atti criminosi."
Non ha ottenuto altro che promesse e rassicurazioni che si sono puntualmente risolte in un nulla di fatto. A occuparsi di eversione nera resta solo lui, un magistrato scrupoloso e regolare nelle sue abitudini personali oltre che sul lavoro, che si affida a una penna stilografica e a vecchie agende dove appunta accuratamente tutto quello che scopre.
Isolato dai suoi superiori è fatto oggetto di continui attacchi da parte del collega giudice Antonio Alibrandi, padre del terrorista dei N.A.R. Alessandro e fedelissimo di Giusva Fioravanti.
Ha in testa un disegno che fa del terrorismo neofascista qualcosa di molto più vasto dei pestaggi o delle sparatorie tra compagni e camerati, perché a questa convinzione lo hanno portato le carte processuali che ha accumulato. Sa che ci sono interi arsenali di armi in mano a questi ragazzi pronti a tutto, ma i suoi allarmi vengono scambiati per fissazioni e restano grida nel deserto.
Dopo l’ultimo scontro con De Matteo, e forse dopo una delle ultime lettere anonime minatorie, Amato decide di abbandonare, prima le inchieste sui neri, poi la Procura. Lo ha confidato a un magistrato che lavora nello stesso palazzo di Giustizia, sta per chiedere il trasferimento al Tribunale Civile. "Era sconfortato dal disinteresse dei suoi superiori", diranno di lui i colleghi il giorno del suo omicidio, "dalle condizioni nelle quali lavorava. E questo soprattutto perché pensava che il terrorismo nero fosse ancora più oscuro e pericoloso di quello rosso, privo com’è di collegamenti clandestini, fatto di gente che all’improvviso impugna la pistola per poi riapparire, come se nulla fosse stato, nella vita di tutti i giorni".
*Franco Evangelista, appuntato di P.S., soprannominato Serpico per il suo coraggio, è una leggenda. Nato in provincia di Caserta, arruolatosi in Polizia nel 1962, è esperto di arti marziali.
Ha effettuato centinaia di arresti. Nel 1975, durante una colluttazione con due ladri d’appartamento viene gettato dal primo piano e si frattura la colonna vertebrale. Salvatosi miracolosamente, già durante la convalescenza, ancora con il busto addosso, riesce a disarmare e a catturare un rapinatore di banca.
Insieme ad altri due colleghi del Commissariato Porta Pia di Roma, è addetto al servizio di vigilanza di fronte al Liceo Giulio Cesare; una scuola difficile dove da anni avvengono scontri tra studenti di opposte fazioni politiche. La mattina del 28 maggio 1980 quattro terroristi dei N.A.R. giungono dinanzi al Liceo. L’obiettivo è quello di disarmare i tre agenti e di schiaffeggiarli per "ridicolizzare la militarizzazione del territorio". I poliziotti si accorgono della loro presenza e cercano di reagire, ma gli aggressori aprono per primi il fuoco. L’appuntato Evangelista viene colpito da sette pallottole, mentre gli altri due agenti sono gravemente feriti. I terroristi fuggono con la pistola di uno degli agenti feriti e la radio portatile della pattuglia.
Franco Evangelista lascia la moglie e due figli.
Presso il Commissariato Porta Pia è collocata una lapide che lo ricorda.
**Mario Amato nato a Palermo nel 1937 è sposato e ha un figlio.
Dopo essere stato dal 1971 sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Rovereto, il 30 giugno 1977 viene trasferito presso la Procura di Roma.
Con Vittorio Occorsio, Amato è il primo magistrato a tentare una lettura globale del terrorismo nero. Riesce a ricostruire le connessioni tra destra eversiva e la Banda della Magliana e intuisce i legami tra sottobosco finanziario, economico e potere pubblico. Scopre che i N.A.R. cercano un’alleanza con gli estremisti di sinistra e che il gruppo facente capo a Fioravanti è organizzato alla stregua delle Brigate Rosse e sta diventando estremamente pericoloso.
Il mattino del 23 giugno 1980 Amato per recarsi al lavoro attende un autobus alla fermata all’incrocio tra viale Jonio e via Monte Rocchetta. Viene raggiunto alle spalle da Gilberto Cavallini dei N.A.R. che gli esplode alla nuca un colpo di rivoltella fatale e poi fugge in motocicletta con Luigi Ciavardini.
Alla notizia dell’avvenuto assassinio del magistrato, i pluriomicidi Valerio Fioravanti e Francesca Mambro festeggiano, secondo le loro stesse dichiarazioni, consumando ostriche e brindando con champagne. Stileranno poi il volantino di rivendicazione scrivendo: "oggi Amato ha chiuso la sua squallida esistenza, imbottito di piombo".
Nel 1981 gli viene intitolata l’aula delle udienze penali del Tribunale di Rovereto.
Vai alla scheda: "La Scuola Arnesano - ricordi di una preside ... in pensione" - di Giuseppina Roberto Indovina.
Vai alla scheda: "La Scuola Arnesano - ricordi di una studentessa" - di Cinzia Pedroni.
Vai alla scheda: "La storia nelle strade".
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