LA TORRE PIO

Pio La Torre nasce ad Altarello di Baida, una borgata di Palermo, la
vigilia di Natale del 1927.
Cresciuto insieme a cinque fratelli in una famiglia di poveri contadini, senza acqua e luce elettrica in casa, La Torre matura il suo interesse per la giustizia sociale e si impegna a combattere per i diritti dei più deboli e bisognosi contro lo sfruttamento dei ricchissimi proprietari terrieri. Il suo impegno politico inizia con l’iscrizione al Partito Comunista nell’autunno del 1945 e la costituzione di una sezione del partito nella sua borgata, la prima delle tante che contribuisce ad aprire anche nelle borgate vicine.

“La terra a tutti”

Il periodo tra il 1945 e il 1950 è caratterizzato dalla lotta per l’effettiva applicazione dei decreti Gullo, provvedimenti legislativi emanati dal ministro dell’Agricoltura del Governo Badoglio, che garantiscono ai contadini maggiori diritti e più terre da coltivare. Lo svuotamento delle norme da parte del successore al Ministero, il democristiano Antonio Segni, e l’atteggiamento dei proprietari terrieri che non riconoscono la legittimità di quei provvedimenti, scatena, soprattutto nel Meridione, la richiesta di una effettiva riforma agraria e un’ondata di proteste popolari che si concretizzerà nelle occupazioni delle terre incolte da parte dei braccianti agricoli esasperati.

Pio La Torre, divenuto nel 1947 funzionario della Federterra, poi responsabile giovanile della C.G.I.L. (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) e successivamente responsabile della commissione giovanile del P.C.I. (Partito Comunista Italiano) partecipa attivamente a queste proteste.

Nel luglio del 1949 è membro del Consiglio Federale del P.C.I. che dà l’inizio ufficiale all’occupazione delle terre, lanciando lo slogan: “la terra a tutti”. La protesta prevedeva il censimento delle terre giudicate incolte o mal coltivate e l’assegnazione in parti uguali a tutti i braccianti che ne avessero avuto bisogno. Parallelamente parte anche la campagna per la raccolta del grano, che sarebbe servito per seminare le terre occupate. Per sensibilizzare l’opinione pubblica viene organizzato a Palermo, il 23 ottobre 1949, il I Festival provinciale de’ l’Unità.

Il clima di festa è però presto interrotto dalle notizie che giungono pochi giorni dopo, il 29 ottobre, da Melissa in Calabria, dove le proteste dei contadini erano sfociate in tragedia con l’uccisione da parte delle Forze dell’Ordine di tre persone, tra cui un bambino e una donna e il ferimento di altri quindici, oltre a numerosi arresti. Quella strage convince i dirigenti del P.C.I. palermitano ad anticipare la data dell’occupazione delle terre, fissandola al 13 novembre successivo.

Proprio il giorno della strage di Melissa, Pio La Torre e Giuseppina Zacco (figlia di un medico palermitano) si stanno sposando con rito civile al Municipio di Palermo. Informato dal segretario della Federazione di Palermo, Pancrazio De Pasquale, interrompe il suo piccolo viaggio di nozze e rientra in città per preparare l’imminente lotta per le terre.

L’occupazione delle terre

Il progetto prevedeva che i contadini di dodici paesi confluissero a Corleone da dove, la mattina di domenica 13 novembre 1949, sarebbero partiti una serie di cortei che avrebbero occupato e preso possesso di tutte le terre censite come incolte e mal coltivate. Partecipano quasi seimila persone che, all’alba della domenica, partono da Corleone e si dirigono verso i feudi da occupare, tra questi anche quello in cui Luciano Liggio era gabellotto, il feudo Strasatto. Dopo la strage di Melissa la polizia ha qualche remora a intervenire duramente, così l’occupazione continua per molti giorni, sviluppandosi anche nei comuni fuori Palermo Ma, viste le dimensioni della rivolta, il Governo decide di tentare la via della repressione arrestando alcuni dirigenti sindacali e braccianti agricoli e scatenando scontri, il più grave dei quali, a San Cipirello, porta in carcere diciotto persone. L’occupazione comunque ha successo e quasi tremila ettari di terreno vengono coltivati a grano.

La pausa invernale, dovuta all’attesa dei frutti della semina, serve a La Torre e al partito per organizzare le lotte primaverili per conservare il diritto di raccolta sugli ettari seminati in autunno e rivendicati dai proprietari agrari.

La data fissata per la ripresa della lotta è il 6 marzo 1950.
L’obiettivo è quello di far ottenere alle cooperative dei contadini l’assegnazione dei tremila ettari già occupati e, non come aveva proposto l’allora prefetto di Palermo, Angelo Vicari, di affidare ai contadini tremila ettari di altri terreni scelti dai proprietari, mentre quelli occupati, compreso il loro raccolto, sarebbero stati restituiti ai proprietari terrieri stessi.

L’arresto a Bisacquino

Il 10 marzo 1950 il movimento dei contadini è a Bisacquino dove si prevede di occupare i quasi duemila ettari di terreno del feudo Santa Maria del Bosco. Pio La Torre è alla testa del corteo lungo quasi cinque chilometri e formato da circa seimila persone. Arrivati sul feudo si procede all’assegnazione di un ettaro di terreno a testa fissando i limiti di divisione. Sul calar della sera, quando i contadini stanno percorrendo la strada che li riporterà alle loro case, vengono circondati dalle forze di polizia inviate dal prefetto Vicari.

La Torre cerca di convincere il commissario Panico, a capo degli agenti di desistere dalla repressione, ma questi ordina di strappare ogni bandiera e vessillo dalle mani dei contadini, ne nasce una sassaiola e a quel punto il commissario Panico ordina di sparare: molti braccianti sono colpiti. La Torre, che in un primo momento era rimasto tra i poliziotti, si sposta in mezzo ai contadini cercando di dissuaderli dal reagire con lanci di sassi agli spari dei poliziotti.

La battaglia continua fino a sera quando, insieme ad altre centinaia di contadini, anche La Torre viene arrestato. È accusato, ingiustamente, dal tenente Caserta di averlo colpito con un bastone. La Torre viene ammanettato e condotto al carcere dell’Ucciardone di Palermo dove, all’alba dell’11 marzo, viene incarcerato.

La detenzione

Pio La Torre rimane in carcere per circa un anno e mezzo: dall’11 marzo 1950 al 23 agosto 1951. E’ un periodo molto duro; al normale disagio di una persona incarcerata e consapevole della propria innocenza, si aggiungono le difficili condizioni di detenzione in cella d’isolamento per alcune settimane in attesa dell’interrogatorio. Il primo colloquio con la moglie, in attesa del primo figlio, Filippo, che sarebbe nato il 9 novembre, viene concesso dopo qualche mese e solo grazie alle pressioni della famiglia Zacco sul sostituto procuratore generale Pietro Scaglione.

Le condizioni nelle quali si svolgono i colloqui sono molto rigide: i parenti e i detenuti sporgono la testa da una porta di ferro con dei buchi e si trovano gli uni di fronte agli altri, divisi da un corridoio nel quale sosta un agente di custodia. La possibilità di un contatto fisico è dunque negata a causa del carattere politico del reato per cui La Torre è imprigionato.

Durante la detenzione legge le opere di Gramsci, alcuni scritti di Lenin e Labriola. E’ comunque molto difficile riuscire a procurarsi questi libri; fondamentale risulta quindi l’aiuto di alcune guardie carcerarie. Il processo, che si svolge nel vecchio salone del Tribunale di Piazza Marina a Palazzo Steri (Palermo), si protrae per dieci udienze, mettendo in luce le ingiuste accuse formulate dal tenente Caserta contro La Torre, che viene così scarcerato il 23 agosto 1951.

Gli affetti familiari

Durante la detenzione gli giunge la notizia della morte della madre, colpita da un tumore all’utero. Dal 1948 aveva ormai lasciato la famiglia, da quando il padre, preoccupato dalle intimidazioni dei mafiosi, arrivati a minacciarlo bruciando le porte della stalla, aveva invitato Pio La Torre a scegliere tra proseguire la sua battaglia, lasciando Altarello, o restare con la famiglia. Erano passati pochi giorni da quando, tra il marzo e l’aprile del 1948, alla vigilia delle elezioni politiche, erano stati uccisi vari segretari di Camere del Lavoro in provincia di Palermo: Placido Rizzotto a Corleone, Calogero Cangelosi a Camporeale, Epifanio Leonardo Li Puma a Petralia.
La Torre aveva scelto la via dell’impegno politico e si era trasferito a Palermo, ospitato dal segretario della federazione comunista della città, Pancrazio De Pasquale che, insieme a Emilio Arata, segretario della F.G.C.I. (Federazione Giovanile Comunisti Italiani), aveva un piccolo appartamento nei pressi della stazione.

Anche la nascita del primo figlio viene vissuta dal carcere e il primo contatto con il primogenito avviene nel cortile dell’Ucciardone, dove una guardia carceraria porta il bambino di pochi giorni, avvolto in un sacchetto, mentre la moglie Giuseppina rimane ad aspettare negli uffici del carcere. Dalla coppia sarebbe nato nel giugno del 1956 un altro figlio, Franco.

Il ritorno all’azione

Uscito dal carcere trova un Movimento che è riuscito a ottenere una riforma agraria (grazie alla legge Sila a maggio, e alla legge regionale siciliana del dicembre del 1950), pur avendo però complessivamente fallito la propria missione, in quanto solo pochi contadini erano riusciti a raccogliere il grano seminato. La pesante repressione aveva messo a dura prova tanto loro quanto il partito.

Nel 1952 assume la carica di dirigente alla Camera confederale del lavoro e diventa organizzatore di una massiccia raccolta di firme per la campagna universale a favore dell’appello di Stoccolma, lanciato dal movimento internazionale per la pace, che chiedeva la messa al bando delle armi atomiche.

Nello stesso anno viene eletto per la prima volta al Consiglio comunale di Palermo dove resterà fino al 1966. Nel 1959 diventa segretario regionale della C.G.I.L. e dal 1962 al 1967 del P.C.I. siciliano. Viene eletto all’Assemblea regionale siciliana nel 1963, per la prima delle due legislature in cui resterà in carica. Nel 1969 viene chiamato a Roma a far parte della Direzione Centrale del P.C.I., dove ricopre l’incarico di vice-responsabile della Sezione Agraria e della Sezione Meridionale.

Nel 1972 viene eletto al Parlamento dove resterà per tre legislature, facendo parte delle Commissioni Bilancio e Programmazione Agricoltura e Foreste, della Commissione Parlamentare per l’Esercizio dei Poteri di Controllo sulla Programmazione e sull’Attuazione degli Interventi Ordinari e Straordinari nel Mezzogiorno, ma soprattutto della Commissione Antimafia.

La lotta alla mafia

Appena eletto in Parlamento, nel maggio del 1972, entra a far parte della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. La Commissione era stata istituita nel 1962, durante la prima guerra di mafia, e pubblica il suo rapporto finale nel 1976. La Torre, insieme al giudice Cesare Terranova, redige e sottoscrive, come primo firmatario, la relazione di minoranza che mette in luce i legami tra la mafia e importanti uomini politici, in particolare della Democrazia Cristiana. Alla relazione aggiunge la proposta di legge “Disposizioni contro la mafia” tesa a integrare la legge 575/1965 e a introdurre un nuovo articolo nel codice penale: il 416 bis.
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Una proposta che segna una svolta radicale nella lotta contro la criminalità mafiosa. Fino ad allora infatti il fenomeno mafioso non era riconosciuto come passibile di condanna penale. La proposta di legge "La Torre" consente l’introduzione nel diritto penale di un nuovo articolo, il 416 bis, che prevede il reato di associazione mafiosa punibile con una pena da tre a sei anni per i membri, pena che sale da quattro a dieci nel caso di gruppo armato. Stabilisce la decadenza per gli arrestati della possibilità di ricoprire incarichi civili e soprattutto l’obbligatoria confisca dei beni direttamente riconducibili alle attività criminali perpetrate dagli arrestati.
Pio La Torre ha una grande conoscenza del fenomeno mafioso e del suo sistema di potere. È conscio delle sue trasformazioni, dalla mafia agricola e del latifondo, combattuta negli anni dell’adolescenza, alla mafia urbana e dell’edilizia che, con appalti pilotati e grazie alle connivenze con le dirigenze politiche locali ha compiuto il cosiddetto sacco di Palermo, fino alla mafia imprenditrice dedita al traffico internazionale di droga con agganci nell’alta finanza.

Non ha paura di fare chiaramente i nomi e i cognomi dei politici conniventi. Sono noti i suoi giudizi su Vito Ciancimino, assessore ai lavori pubblici del comune di Palermo dal 1959 al 1964 e poi sindaco fino al 1975. Dalla sua analisi del rapporto tra il sistema di potere mafioso e pezzi dello Stato emerge la sua convinzione che “la compenetrazione è avvenuta storicamente come risultato di un incontro che è stato ricercato e voluto da tutte e due le parti (mafia e potere politico). La mafia è quindi un fenomeno di classi dirigenti”.

Nel 1981 Pio La Torre decide di tornare in Sicilia, in un momento storico in cui la strategia mafiosa di intimidazione dei rappresentanti più impegnati nell’azione di contrasto da parte dello Stato contro la mafia è al massimo fulgore. Negli anni precedenti erano stati uccisi illustri rappresentanti dello Stato come il giudice Cesare Terranova (il 25 settembre 1979), il procuratore della Repubblica Gaetano Costa (6 agosto 1980) e il presidente della Regione Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980). Proprio lui decide di assumere nell’autunno del 1981 l’incarico di segretario regionale del P.C.I., sostituendo Gianni Parisi.
Immediatamente, al ritorno in Sicilia intraprende la sua ultima battaglia, quella contro l’installazione dei missili NATO nella base militare di Comiso.

L’ultima battaglia

Il Governo italiano aveva annunciato il 7 agosto del 1981 l’accordo con la NATO per l’installazione degli euromissili nucleari Cruise nella base militare di Comiso in provincia di Ragusa. La Torre dà forza e organizzazione a un movimento crescente di protesta contro l’installazione vista come minaccia alla sicurezza di tutto il Paese. Il clima di tensione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica comporta l’adozione di un atteggiamento prudente e di disponibilità alla trattativa che non per questo rende meno convinte le richieste da parte dei manifestanti.
La Torre lancia dal Circolo della Stampa di Palermo una petizione nell’ambito di un convegno a cui partecipano esponenti di ogni orientamento politico, culturale e religioso. L’obiettivo è raccogliere un milione di firme. La prima grande manifestazione viene fissata per l’11 ottobre 1981 a Comiso, con un gran numero di partecipanti provenienti in marcia da Palermo.
Il successo della protesta è enorme e la raccolta di firme straordinaria. Lo stesso La Torre spiega, in un articolo postumo pubblicato su Rinascita il 14 maggio 1982, che le ragioni dell’opposizione all’installazione dei missili era basata sull’assoluta contrarietà alla “trasformazione della Sicilia in un avamposto di guerra in un mare Mediterraneo già profondamente segnato da pericolose tensioni e conflitti. Noi dobbiamo rifiutare questo destino e contrapporvi l’obiettivo di fare del Mediterraneo un mare di pace”.

I suoi propositi sono bruscamente interrotti la mattina del 30 aprile del 1982, giorno dell’assassinio.

Fotografia dal sito del Centro di Studi e Iniziative Culturali Pio La Torre.

Vai alla scheda: "A Rosario Di Salvo - vittima della mafia" - targa commemorativa in via Carlo Villa 6 - Circolo Auprema Salone Rosario Di Salvo.

Vai alla scheda: "Rosario di Salvo" - biografia.

Vai alla scheda: "Alle vittime della mafia - opera scultorea - via Gorki 106 - nel parco del Centro Scolastico Parco Nord".



GALLERIA FOTOGRAFICA

Pio La Torre

1958, Pio La Torre Segretario della CGIL regione Sicilia, onora Di Vittorio

1967, Pio La Torre al 20° anniversario della strage di Partinico

1° da destra Pio La Torre, accanto al giudice Cesare Terranova ucciso dalla mafia il 25 settembre 1979

Contadini verso il feudo

Camion di contadini verso il feudo

Manifestazione a Comiso