LE POESIE DI ALFONSO GATTO DEDICATE A EUGENIO CURIEL

GIORGIO CURIEL

In un giorno della vita
ho camminato con Giorgio
a capo scoperto nel cielo.
Giorgio era un compagno
Giorgio era il Partito,
maturo come un frutto,
Giorgio era la sua voce
inceppata e sicura,
(i) denti neri (il) tabacco nero
(la) sigaretta arrotolata
un desiderio di svegliare
il mondo coi suoi pensieri.
Ho udito Giorgio
ho visto Giorgio
alto come le case
nell’orizzonte del cielo.
Come un grande studente
usciva in fretta alle porte
a insegnare la strada
ai giovani compagni.
Compagna anche la morte,
diceva, il sangue è rosso.
A maggio lo portammo al cimitero.
Se potevamo camminare
e coprirlo di fiori e di bandiere
era perchè da morto c’indicava
la grande strada della primavera.
Lui che c’indicava
la grande strada della primavera.

25 APRILE

La chiusa angoscia delle notti, il pianto
delle mamme annerite sulla neve
accanto ai figli uccisi, l’ululato
nel vento, nelle tenebre, dei lupi
assediati con la propria strage,
la speranza che dentro ci svegliava
oltre l’orrore le parole udite
dalla bocca fermissima dei morti
“liberate l’Italia, Curiel vuole
essere avvolto nella sua bandiera”:
tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell’azzurro
il rosso palpitò come una gola.
E fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi
piena la mano nel suo pugno: il cuore
d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.

Alfonso Gatto*

*Alfonso Gatto nasce a Salerno il 17 luglio 1909. Ha un’infanzia e un’adolescenza piuttosto travagliate. A Salerno, compie i primi studi al liceo classico e si accorge di avere dentro di sé una passione poetica e letteraria.
Nel 1926 si iscrive all’Università di Napoli che deve tuttavia abbandonare qualche anno dopo a causa di difficoltà economiche. Alfonso Gatto, al pari di molti poeti del tempo come Montale e Quasimodo, non si laureerà mai.
Si innamora e poi sposa la figlia del suo professore di matematica, Jole, con la quale, alla sola età di 21 anni, fugge a Milano.
Da quel momento la sua vita è piuttosto irrequieta e avventurosa, trascorsa in continui spostamenti e nell’esercizio di molteplici lavori.
Nel 1936, a causa del suo dichiarato antifascismo, viene arrestato e trascorre sei mesi nel carcere di San Vittore a Milano.
In quegli anni Gatto è collaboratore delle più innovatrici riviste e periodici di cultura letteraria.
Nel 1938 fonda, con la collaborazione di Vasco Pratolini, la rivista Campo di Marte, ma il periodico dura un solo anno. E’ comunque questa un’esperienza significativa per il poeta che ha modo di cimentarsi nella letteratura militante di maggior impegno.
Nel 1941 Gatto riceve la nomina a ordinario di Letteratura italiana per chiara fama presso il Liceo Artistico di Bologna.
A partire dal 1943 entra a far parte della Resistenza; le poesie scritte in questo periodo offrono una testimonianza efficace delle idee che animano la lotta di Liberazione.
Alla fine delle seconda guerra mondiale è direttore di Settimana, poi co-direttore di Milano Sera e inviato speciale de L’Unità dove assume una posizione di primo piano nella letteratura di ispirazione comunista.
Nel 1951 lascia clamorosamente e polemicamente il partito comunista.
Come autore di testi sono diversi i riconoscimenti che riceve, tra questi vi sono i premi Savini (1939), St. Vincent (1950), Marzotto (1954) e Bagutta (1955, per l’opera La forza degli occhi).
Oltre che poeta è anche scrittore di testi per l’infanzia. Gli ultimi anni della sua vita sono dedicati alla critica dell’arte e della pittura.
Alcuni tra i suoi numerosi volumi di poesia sono: Isola (1932), Morto ai paesi (1937), Il capo sulla neve (1949), La forza degli occhi (1954), Osteria flegrea (1962), La storia delle vittime (1966), Rime di viaggio per la terra dipinta (1969).
Alfonso Gatto muore in un incidente d’auto a Orbetello (Grosseto) il giorno 8 marzo 1976.
È sepolto nel cimitero di Salerno. Sulla sua tomba è inciso il commiato funebre dell’amico Eugenio Montale: “Ad Alfonso Gatto/ per cui vita e poesie/ furono un’unica testimonianza/ d’amore”.

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