PRIMA GUERRA MONDIALE - STORIA E CRONOLOGIA

di Achille Rastelli - storico

La prima guerra mondiale, o Grande Guerra come fu chiamata per tanto tempo, scoppiò nell’agosto 1914 per un’arroganza diplomatica: era stato ucciso da un serbo l’erede al trono austro-ungarico, un delitto di Stato come ce n’erano altri a quel tempo.

L’Austria attaccò la Serbia, la Russia degli zar attaccò l’Austria, la Germania attaccò la Russia per il patto di difesa con gli austriaci, la Francia attaccò la Germania per il patto di difesa che aveva con la Russia, l’Inghilterra entrò in guerra quando la Germania invase il Belgio, che era nato e tutelato dalla Gran Bretagna.

L’Italia entrò in guerra più tardi, nel maggio 1915 dopo una trattativa mercanteggiata con i belligeranti per sapere chi offriva di più in caso di vittoria: la spuntarono gli anglo-francesi.

Al di là di questa arida elencazione di pessime iniziative diplomatiche, erano già presenti gravi tensioni internazionali dovute all’ambizione dell’Impero tedesco di conquistare il mondo, al revanscismo francese che rivoleva l’Alsazia e la Lorena prese dai tedeschi nel 1870, alle ambizioni italiane su territori austriaci ritenuti italiani, ai desideri russi sulla Polonia tedesca e austriaca, agli appetiti inglesi e giapponesi sulle colonie tedesche in Africa e nel Pacifico.

Le principali vittime designate di questa situazione erano due imperi secolari ma superati dalle spinte interne nazionalistiche, l’Austria-Ungheria e l’Impero ottomano.

Tutti entrarono in guerra senza tener conto degli sviluppi della tecnologia militare e pensavano che si trattasse della solita guerra, sanguinosa ma condotta con manovre di truppe e cariche di cavalleria: si scontrarono con mitragliatrici, cannoni e gas asfissianti.

L’incubo che si materializzò quasi subito per gli stati maggiori e per i soldati, fu la trincea, uno strumento della tecnologia militare che divenne una componente della memoria storica del mondo.

Il sistema organizzato da entrambe le parti era costituito da una rete composta da trincee di prima linea, da trincee di rincalzo e da trincee di riserva, collegate da camminamenti protetti, appoggiate da fortini in cemento e postazioni mascherate di cannoni e mitragliatrici, con una difesa esterna composta da cavalli di frisia e filo spinato.

I sistemi così creati mostrarono subito una notevole capacità di resistenza agli assalti: se veniva conquistata la prima linea, e magari cadeva anche la seconda, l’assalitore era esaurito di uomini per le perdite subite e si trovava di fronte un’altra linea di trincee dalle quali, prima o poi, sarebbe partito il contrattacco. La situazione di stallo che si era creata sul fronte occidentale e che, senza grandi spostamenti (solo qualche chilometro) sarebbe durata fino alla fine del conflitto, fu ripetuta con le stesse modalità sul fronte italo-austriaco e su quello macedone.

Questo sistema difensivo, che resisteva agli assalti di decine di migliaia di soldati che venivano massacrati, si era esteso anche in mare dove, fra i campi minati e le minacce dei sommergibili, le flotte da combattimento erano costrette a restare in porto.

La prima potenza a saltare fu la Russia zarista, sconvolta da una rivolta popolare che portò alla rivoluzione e alla sua uscita dalla guerra nel marzo 1918, nel frattempo l’entrata in guerra degli Stati Uniti portò il colpo di grazia a tedeschi e austriaci. Entrambe le potenze furono costrette a chiedere la resa nell’ottobre 1918 così come l’Impero ottomano, che era stato coinvolto in guerra da un colpo di mano tedesco: una nave da guerra della Kaisermarine aveva attaccato i porti russi del Mar Nero sotto bandiera turca. La Germania era sconvolta da una rivoluzione ma le sue truppe erano ancora in Francia e nacque così il mito della pace tradita. L’Austria si smembrò da sola.

Alla fine della guerra erano spariti quattro imperi, tre dei quali secolari: Germania, Russia, Austria-Ungheria e Turchia. Questi due ultimi furono smembrati con la nascita di nuove nazioni, ma tutto il panorama europeo era stato sconvolto come non avveniva dall’epoca napoleonica, con milioni di morti e una intera generazione di giovani distrutta in modo irreparabile. I trattati di pace lasciarono strascichi pericolosi: rivendicazioni di vittorie presunte mutilate, presunti diktat di pace da parte di vincitori arroganti e avidi che non si preoccuparono di umiliare i vinti.
Sulla spinta anche di queste rivendicazioni e dei massacri di guerra nacquero ideologie totalitarie, fascismo, comunismo, nazionalsocialismo che furono le premesse al secondo tempo di questa tragedia che, da europea, sarebbe diventata veramente mondiale.

Cronologia degli eventi principali

28 giugno 1914. L’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando.
Gavrilo Princip, irredentista serbo uccise a Sarajevo l’erede al trono dell’Impero austro-ungarico e sua moglie Sofia. Venne subito catturato ma l’episodio fornì un pretesto a Vienna per cercare di imporre le sue condizioni a Belgrado. Fu inviata una richiesta con 15 punti fra i quali, catturare i mandanti dell’omicidio e farli processare a Vienna, oltre ad accettare poliziotti austriaci in territorio serbo. Il governo serbo il 24 luglio chiese l’aiuto della Russia in caso di attacco austriaco e lo zar lo promise il 26 luglio. L’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia il 28 luglio 1914 e il 31 luglio la Russia inviò le sue truppe al confine con la Germania e l’Austria-Ungheria.

1° agosto 1914. La Germania dichiara guerra alla Russia.
In seguito alla minaccia russa, la Germania dichiarò guerra alla Russia, come stato aggressore dell’Austria, sua alleata nella Triplice Allenza.

2 agosto 1914. L’Italia dichiara la sua neutralità.
L’Italia interpretò in maniera diversa le clausole della Triplice Alleanza, ritenne l’Austria stato aggressore e si dichiarò neutrale.

3 agosto 1914. La Gemania dichiara guerra alla Francia.
La Francia si stava mobilitando per aiutare la Russia, ma la Germania la prevenne e le dichiarò guerra invandendo il Belgio per attuare il piano d’attacco messo a punto dal generale Schlieffen anni prima.

4 agosto 1914. L’Inghilterra dichiara guerra alla Gemania.
Il Belgio aveva una neutralità garantita dall’Inghilterra in base ad un accordo del 1839 per cui l’Inghilterra dichiarò guerra alla Germania, quando quest’ultima invase il Belgio nonostante il preavviso che aveva avuto di non aggredirlo. L’esercito belga era stato collocato sui suoi confini. L’ultimatum tedesco portò il re Alberto del Belgio al comando personale delle forze armate e decise di resistere ma fu rapidamente sopraffatto e dovette trasferire il suo governo a Le Havre in Francia.
Comunque la resistenza dei belgi impedì ai tedeschi di attuare il piano Schlieffen.

10 e 12 agosto 1914. Francia e Inghilterra dichiarano guerra all’Austria-Ungheria.
Per una “correttezza di guerra” Francia e Inghilterra dichiararono guerra all’Austria, ma il motivo era per prestare aiuto alla Serbia che combatteva in primo luogo contro gli austriaci.

26 agosto 1914. Battaglia di Tannenberg.
I russi cercarono di fare una manovra a tenaglia per accerchiare l’esercito tedesco, ma venne effettuata una contromanovra dai generali Hindenburg e Ludendorff che distrusse la seconda armata russa. Su 150.000 soldati solo 10.000 riuscirono a fuggire, gli altri furono uccisi o fatti prigionieri. Samsonov in seguito alla disfatta si uccise sul campo di battaglia.

6 settembre 1914. Battaglia della Marna.
L’avanzata tedesca minacciava Parigi e il governo francese si rifugiò a Bordeaux. La battaglia infuriò per più giorni e, nel momento critico per i francesi, i taxi parigini risolsero la situazione portando al fronte 6.000 riservisti. Gli anglo-francesi costrinsero i tedeschi a ripassare la Marna, ma al costo di più di 260.000 perdite fra morti e prigionieri.

29 ottobre 1914. La Turchia si unisce alla Germania.
Navi tedesche sotto bandiera turca attaccarono unità russe in Mar Nero e il 2/3 novembre Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Turchia. Si aprivano così altri fronti: sul Canale di Suez, in Mesopotamia e nel Caucaso.

22 aprile 1915. L’attacco tedesco con i gas a Ypres.
I tedeschi usarono i gas contro l’esercito francese nella zona di Ypres. Dapprima i francesi pensarono ad un attacco con nebbia artificiale, ma quando cominciarono a sentire dolori al petto e alla gola capirono di essere stati colpiti da gas. Per il timore di essere vittime anch’essi della loro stessa arma, i tedeschi ritardarono l’avanzata e così venne vanificato l’effetto del gas.

26 aprile 1915. Il patto di Londra.
In un incontro segreto a Londra i rappresentanti italiani concordarono di entrare in guerra a fianco di Francia e Inghilterra in cambio di un appoggio finanziario e di una promessa di cessione di territori dell’Impero austro-ungarico, in particolare Trento e Trieste.

23 maggio 1915. L’Italia dichiara guerra all’Austria-Ungheria.
Nonostante la carenza di artiglierie e l’impreparazione ad affrontare una guerra di trincea, l’Italia dichiarò la guerra all’Impero. L’imperatore Francesco Giuseppe l’annunciò così ai suoi sudditi : “Il re d’Italia mi ha dichiarato la guerra”, una visione settecentesca di guerra fra monarchi, non fra popoli.

23/6-7/7/1915. Prima battaglia dell’Isonzo.
La Prima battaglia dell’Isonzo fu combattuta dal 23 giugno al 7 luglio 1915 tra l’esercito italiano e quello austro-ungarico. L’obiettivo degli italiani era l’allontanamento degli austro-ungarici dalle loro posizioni difensive sul fiume e scalare i monti che vi si affacciavano: nonostante, però, la superiorità numerica, Cadorna commise l’errore di lanciare assalti di fanteria dopo imponenti (ma brevi, vista la carenza di munizioni) sbarramenti d’artiglieria che non proseguivano durante il movimento degli uomini. Gli italiani fecero guadagni territoriali minimi: la testa di ponte di Tolmino aldilà del fiume, le alture vicino Plezzo, il monte Colovrat e parte del monte Nero.

18/7-3/8/1915. Seconda battaglia dell’Isonzo.
Dopo il fallimento dell’attacco di due settimane prima, Luigi Cadorna, comandante in capo delle forze italiane, decise una nuova spinta sulle linee nemiche con un più nutrito appoggio d’artiglieria.
La tattica del generale era semplice quanto spietata: dopo uno sbarramento di artiglieria, gli italiani dovevano avanzare frontalmente, in massa, verso le ben difese trincee austro-ungariche ed espugnare le posizioni, dopo aver superato i reticolati. L’endemica mancanza di materiali, però, rese praticamente nullo il vantaggio del numero, ancora superiore per gli italiani rispetto al nemico. Una tattica siffatta mostrava ancor più il proprio lato inumano, viste le notizie che venivano dal fronte occidentale dove la sua applicazione non aveva dato altro frutto che inutili massacri.
Sul Monte Nero si sviluppò un’estenuante serie di combattimenti corpo a corpo, con perdite altissime da ambo le parti. La battaglia si spense da sola, quando entrambi gli schieramenti rimasero a corto di munizioni sia per le armi leggere che per l’artiglieria. Le perdite totali delle tre settimane di scontri si aggirarono attorno ai 91.000 uomini, di cui 42.000 italiani e 47.000 austro-ungarici.

8/10-4/11/1915. Terza battaglia dell’Isonzo.
Dopo circa due mesi e mezzo di relativa tregua per ricostituirsi dalle perdite dovute agli assalti in massa delle prime battaglie, Cadorna portò l’effettivo d’artiglieria a 1.200 cannoni.
Gli obiettivi principali dell’offensiva erano la cattura definitiva delle teste di ponte austro-ungariche a Plezzo e Tolmino, nonché la città di Gorizia. La tattica di Cadorna, tuttavia, si rivelò poco incisiva, avendo distribuito le proprie forze in modo completamente uniforme lungo tutto il fronte (lungo quanto l’Isonzo), e avendo deciso di attaccare su piccoli fronti. Gli austro-ungarici approfittarono della situazione per concentrare la loro potenza di fuoco sul nemico, che avanzava su direttrici più strette.
Grazie a estesi bombardamenti, gli italiani avanzarono a Plava, sul bordo meridionale della piana della Bainsizza, e sul Monte San Michele, punto focale dell’avanzata per aggirare il grosso delle forze che difendevano Gorizia: l’altura fu scenario di feroci attacchi e contrattacchi tra la Terza Armata italiana e i rinforzi austro-ungarici appena arrivati, su ordine di Boroević, dai fronti orientale e balcanico, con un alto costo di vite umane da entrambe le parti. La pausa dei combattimenti durò solo due settimane, poi l’offensiva italiana riprese.

18/10-4/11/1915. Quarta battaglia dell’Isonzo.
A differenza delle tre battaglie precedenti questa durò poco di più e può per molti versi considerarsi la continuazione dell’offensiva precedente.
La gran parte dei combattimenti si concentrò sulla direttrice per Gorizia e sul Carso, ma la spinta fu distribuita lungo tutta la linea del fiume Isonzo: la Seconda Armata italiana premette sul capoluogo e occupò Oslavia, mentre la Terza Armata, incaricata di coprire il fronte fino al mare, si lanciò in estesi e sanguinosi scontri che non fruttarono nulla, se non minimi avanzamenti del fronte.
Il Monte Sei Busi, già teatro di combattimenti asperrimi e disperati da parte italiana, fu assaltato per altre cinque volte dalle truppe di Cadorna. La tregua si instaurò con l’arrivo del primo, pungentissimo freddo sulle montagne del Carso, spazzato dalla Bora, per il quale le operazioni militari si bloccarono del tutto per mancanza di equipaggiamenti e preparazione da ambo le parti.

21 febbraio 1916. L’offensiva tedesca a Verdun.
I tedeschi decisero di attaccare la zona fortificata di Verdun per costringere i francesi a logorarsi nella difesa della zona, per loro importante. L’attacco fu condotto da un milione di uomini contro 200.000 francesi. Gli attacchi continuarono per settimane fra continui andirivieni delle linee e la battaglia finì il 18 dicembre senza che nessuno avesse guadagnato o perso terreno. Le perdite dei francesi furono di 550.000 uomini, quelle tedesche di 434.000, di cui almeno la metà uccisi.

11/3-19/3/1916. Quinta Battaglia dell’Isonzo.
Dopo quattro tentativi di superare il fiume Isonzo e dilagare in territorio austro-ungarico, Luigi Cadorna organizzò una nuova offensiva forte della tregua invernale che aveva consentito all’Alto Comando italiano di raggruppare e organizzare 8 nuove divisioni da posizionare sul fronte.
Gli assalti, intesi come "azioni dimostrative" come da ordine verbale inoltrato da Cadorna ai comandi della II e III Armata ad integrare gli ordini scritti dati in precedenza, furono meno impegnati e meno sanguinosi che nelle battaglie precedenti, si distribuirono sul Carso, sulla direttrice per Gorizia e nell’incassata testa di ponte di Tolmino.
Dopo una settimana di combattimenti, che costarono la vita su entrambi i fronti a 4.000 uomini, gli scontri si spensero, a causa del pessimo tempo che complicava tremendamente la vita nelle trincee, e a causa dell’inizio dell’offensiva austro-ungarica "punitiva" alle basi in Trentino.

15/5-27/6/1915. La Strafexpedition sfonda il fronte ad Asiago.
Già da tempo il Capo di Stato Maggiore austro-ungarico, generale Conrad von Hötzendorf, propugnava l’idea di una Strafexpedition che colpisse letalmente l’ex-alleato italiano, reo di avere tradito la Triplice Alleanza.
A causa dei problemi logistici l’offensiva non poté avere luogo in aprile come previsto. La data d’inizio venne fissata così al 15 maggio, sperando nel miglioramento meteorologico e in una stabilizzazione del fronte balcanico, dove l’intervento della Bulgaria aveva reso infinitamente meno difficoltoso gestire l’avanzata in territorio serbo. Nella notte tra il 14 e il 15 maggio 1916 l’artiglieria austro-ungarica cominciò un bombardamento a tappeto sulle linee nemiche, che di fatto colse impreparati molti comandi locali.
Le fanterie italiane, pressate e di fatto private delle proprie difese dai grossi calibri avversari, non arretrarono, un po’ per ostinazione e un po’ per mancanza di una diretta coordinazione che rendesse il ripiegamento organico. Ciò, effettivamente, non consentì il rafforzamento di quelle seconde e terze linee che si sarebbero poi piegate all’avanzata nemica.
In Valsugana gli italiani furono respinti fino a Ospedaletto, che divenne una città fortificata e dove il fronte si stabilizzò dopo diversi giorni. Dalla Val Lagarina il VII Corpo d’armata dilagò prendendo le posizioni della Zugna Torta, Pozzacchio e Col Santo, ma la resistenza italiana seppe tenere sul Coni Zugna, sul Pasubio e sul Passo Buole.
La notizia delle vittorie austro-ungariche seminò panico tra gli alti comandi italiani, e Cadorna ordinò la mobilitazione delle ultime leve, assieme alla creazione di una V Armata che si disponesse tra Vicenza e Treviso al comando del generale Frugoni. Per prendere parte alla difesa del Paese arrivarono uomini da tutta Italia; furono coinvolti anche 120 battaglioni già impegnati sull’intero fronte isontino, spostati con una complessa e magistrale operazione logistica che coinvolse l’intero Veneto settentrionale. Vennero allestite sette divisioni di riserva, di cui una composta di uomini rimpatriati in tutta fretta dall’Albania e dalla Libia. Cadorna richiamò anche l’attenzione degli alleati russi affinché lanciassero un’offensiva di larga scala approfittando della minore copertura ungherese sul fronte orientale. L’altopiano di Asiago divenne teatro di combattimenti aspri, le difese italiane furono superate e gli austriaci occuparono Arsiero e Asiago tra il 27 e il 28 maggio; la resistenza, ridotta all’orlo meridionale della conca di Asiago, non riuscì a impedire la caduta di Gallio.
Il 2 giugno venne ordinata la controffensiva, contenuta però dagli austro-ungarici. Il 4 giugno dalla Russia partì un’offensiva su larga scala che sovrastò le sguarnite linee austro-ungariche, prive di qualunque rimpiazzo da parte tedesca. Il rapido e precoce ripiegamento delle linee austro-ungariche richiese l’appoggio e l’intervento di rinforzi, che potevano confluire solo dal Tirolo.
L’avanzata italiana, costante pur nella sua lentezza, minacciava i capisaldi laterali e, per evitare ulteriori perdite di uomini e mezzi, il 15 giugno Hötzendorf ordinò il ripiegamento su basi prestabilite e già pronte. Il 27, Pecori Giraldi interruppe qualunque azione controffensiva, essendo evidente il bisogno di un riordinamento operativo e organizzativo delle linee italiane.
L’alto numero di perdite su entrambi i fronti, nonché il furore di alcuni scontri, determinarono l’avvio di una serie di considerazioni tattiche, strategiche e politiche.

4 giugno 1916. Battaglia dello Jutland.
A fine maggio 1916 sia per rompere l’assedio navale della Royal Navy sia per far vedere che il controllo del mare del Nord era loro, la flotta tedesca decise di fare una ricognizione in forze ed uscì in mare con tutte le maggiori unità. Anche la flotta inglese decise una missione in forze e lo scontro avvenne nelle acque presso la penisola dello Jutland, o dello Skagerrak come i tedeschi chiamano questa battaglia. Dapprima ci fu uno scontro violento fra gli incrociatori da battaglia dei due duellanti, poi la flotta inglese manovrò per tagliare la strada alla flotta tedesca che, sotto il fuoco nemico, effettuò una inversione ad U definita un capolavoro di tattica navale. Alla fine tutti dichiararono vittoria: i tedeschi perchè con quella tattica avevano inflitto perdite maggiori al nemico, ma quella strategica fu inglese perché la flotta tedesca non tentò più azioni del genere.

1° luglio 1916. Offensiva della Somme.
Questa fu una battaglia combattuta soprattutto dall’esercito inglese. Attaccarono 750.000 uomini contro il fronte tedesco, ma il bombardamento non distrusse il filo spinato e i bunker. Morirono e furono feriti subito 58.000 soldati. L’offensiva durò fino all’inverno e finì con la perdita di 420.000 inglesi e quasi 200.000 francesi, quelli tedeschi furono almeno 500.000.

6/8-17/8/1916. Sesta battaglia dell’Isonzo - conquista di Gorizia.
Accortosi che l’azione nemica della Strafexpedition era ora in via d’esaurimento senza aver colto gli obiettivi strategici che si era posta, il Generale Luigi Cadorna impartì le disposizioni di massima per disporsi alla battaglia per conquistare Gorizia. Già dal mese di giugno, nel segreto più totale uomini e mezzi presero ad affluire nelle retrovie della Grande Unità prescelta per l’azione, sguarnendo il fronte trentino, ancora coinvolto nel contenimento della fase finale dell’offensiva austro-ungarica. Il piano operativo italiano prevedeva, per la prima volta dall’inizio delle ostilità, una grande concentrazione di forze e di mezzi allestita per l’occasione. All’alba del 6 agosto 1916 oltre 1200 bocche da fuoco iniziarono un violento tiro di distruzione sulle attonite truppe imperiali. Nessuno nel campo avverso si aspettava un’offensiva così a ridosso dell’appena conclusa "Strafe Expedition". Alla sera del 6 agosto agli Austriaci la situazione appariva difficile ma non compromessa. Nella notte fra il 6 ed il 7 agosto e per tutta la giornata del 7 gli austroungarici contrattaccarono su tutta la linea le forze italiane ma salvo alcuni locali successi nella zona di Oslavia e del villaggio di Grafenberg, furono contenuti e respinti. Nella notte dell’8 agosto i reparti austriaci abbandonarono le posizioni tenacemente difese lasciando un velo di truppe in copertura e, distrutti i ponti, ripiegarono sulla riva sinistra dell’Isonzo. La pressione italiana sul fiume risultò insostenibile per gli austriaci che alle 18.00 dell’8 agosto decisero di abbandonare Gorizia ed iniziarono un ordinato ripiegamento su nuove posizioni arretrate ed organizzate sul Monte Santo, San Gabriele, San Marco e Santa Caterina.
Le unità italiane nel frattempo vennero riordinate in due Corpi d’Armata: nella notte fra l’8 ed il 9 il genio riparò i ponti e gettò passaggi di fortuna. Sotto il tambureggiante fuoco nemico le unità italiane passarono l’Isonzo a Salcano e San Mauro, mentre a sud il 28° Pavia, che aveva già passato l’Isonzo nella notte fra il 7 e l’8, premeva verso la stazione ferroviaria. Il 9 venne catturato l’ultimo ridotto austriaco e la bandiera italiana venne issata sulla Stazione.

28 agosto 1916. L’Italia dichiara guerra alla Germania; la Romania si schiera con l’Intesa.
Finiva una delle ultime stranezze della guerra: l’Italia aveva mantenuto le relazioni con la Germania, anche se questa già combatteva contro di lei, perché importava carbone dalla Slesia e la Germania aveva bisogno di valute estere. La Romania entrò in guerra contro l’Austria e la Germania, ma sbagliò i tempi e fu subito invasa.

14/9-17/9/1916. Settima Battaglia dell’Isonzo.
L’attacco italiano riuscì sul Carso, tra il mare Adriatico e Gorizia. La Terza armata italiana doveva irrompere sull’altura di Fajti per poi attaccare Trieste. Gli italiani riuscirono appena a conquistare alcune trincee e una piazzaforte presso Merna.

9/10-12/10/1916. Ottava battaglia dell’Isonzo.
L’offensiva fu una delle cosiddette "spallate" militari lanciate da Luigi Cadorna per logorare l’Austria-Ungheria. Ma il tempo avverso, la resistenza delle truppe imperiali, gli errori tattici, la scarsità di mezzi e materiali fecero guadagnare poco terreno alle truppe italiane che poi furono costrette alla ritirata sulle posizioni di partenza dalla controffensiva austriaca. Le perdite furono alte da entrambe le parti.

31/10-1/11/1916. Nona battaglia dell’Isonzo.
Nonostante i tanti caduti, l’esercito italiano riuscì ad avanzare solo di pochi chilometri (circa 5 oltre il Vallone). Nella zona collinosa a est di Gorizia, nonostante l’accanita resistenza austro-ungarica e le difficoltà del terreno (aggravate dall’impaludamento per le recenti piogge), i fanti italiani avanzarono sotto il fuoco nemico affondando nel fango fino alla cintola; le truppe del XXVI Corpo d’armata e dell’VIII riuscirono a occupare rispettivamente l’altura di quota 171, a nord-ovest della cima del M.te San Marco e quella di quota 123 nord a est di Vertoiba. Nei giorni seguenti le truppe tentarono di compiere altri progressi, ma la viva reazione nemica e soprattutto le penose condizioni operative, li resero impossibili, costringendole a sgomberare la quota 123 nord. Nella notte gli austro-ungarici contrattaccarono sul Colle Grande, ma invano; al mattino, però, con truppe fresche essi tornavano in modo risoluto al contrattacco con il Pecinca a quota 278; sovverchiata la Brigata Spezia sulla quota 278, essi piombarono sul Pecina (quota 308), ma qui vennero fermati dalla I Brigata Bersaglieri. Nel pomeriggio non soltanto tutto il terreno perduto dagli italiani venne da loro riconquistato, ma la 49 Divisione si spinse fino alle pendici del Monte Lupo (Volkovnjak), mt 285 a sud-est di Vertozza, e la 45 fino a quelle del Dosso Fàiti Il XIII Corpo d’armata, rimasto in posizione arretrata, tentò il giorno 4 novembre una manovra di aggiramento, puntando dalla strada Opacchiassella-Castagnevizza verso Sella delle Trincee, al fine di avvolgere le forze che si opponevano all’avanzata italiana e spazzare il territorio antistante a Castagnevizza; il movimento non ebbe esito fortunato.

8 marzo 1917. La rivoluzione russa.
Con l’esercito ormai demoralizzato e il popolo affamato, un colpo di stato fece abdicare lo zar Nicola II e portò ad un governo provvisorio che fu poi fatto cadere dalla rivoluzione bolscevica di ottobre e alla fine della guerra con gli Imperi Centrali il 31 marzo 1918

12/4-6/6/1917. Decima Battaglia dell’Isonzo.
Gli Italiani potevano contare su 430 battaglioni e 3.800 pezzi di artiglieria, l’Austria-Ungheria su 210 battaglioni e 1.400 pezzi di artiglieria. L’obiettivo dell’offensiva italiana era rompere il fronte per raggiungere Trieste. Dopo 2 giorni e mezzo di bombardamenti a tappeto sull’intera linea del fronte da Tolmino fino al Mare Adriatico e dopo un attacco nei pressi di Gorizia, il fronte austro-ungarico venne rotto nella periferia meridionale della città. Gli Italiani riuscirono a conquistare temporaneamente il villaggio di Jamiano, oltre a diverse alture del Carso monfalconese, ma vennero respinti da un contrattacco austriaco partito dalle alture del monte Ermada. Tra Monte Santo e Zagora, a nord di Gorizia, riuscirono a passare l’Isonzo, a costruire tempestivamente una testa di ponte e a difenderla. Da parte italiana si contarono 160.000 vittime (tra cui 36.000 caduti), gli austro-ungheresi perdettero invece 125.000 uomini (di cui 17.000 morti). L’esercito italiano riuscì a fare prigionieri 23.000 soldati austriaci, quello austriaco 27.000 italiani, testimonianza del debole morale delle truppe italiane in questa fase della guerra.

18/8-12/9/1917. Undicesima Battaglia dell’Isonzo.
Luigi Cadorna, il capo di stato maggiore italiano, aveva concentrato tre quarti delle sue truppe presso il fiume Isonzo: 600 battaglioni (52 divisioni) con 5.200 pezzi d’artiglieria. L’attacco venne sferrato su un fronte che si estendeva da Tolmino (nella valle superiore dell’Isonzo) fino al mar Adriatico. Gli italiani attraversarono il fiume in più punti su ponti di fortuna, ma lo sforzo maggiore venne fatto sull’altopiano della Bainsizza, la cui conquista aveva lo scopo di far proseguire l’avanzata e di rompere le linee austro-ungariche in due, isolando le roccheforti del Monte San Gabriele ed Hermada. Dopo un combattimento aspro e sanguinoso, la Seconda Armata italiana (comandata dal generale Capello), fece indietreggiare gli austro-ungarici, conquistando la Bainsizza e il Monte Santo. Altre postazioni furono occupate dalla Terza Armata del Duca d’Aosta.
Comunque, il Monte San Gabriele ed il Monte Hermada si rivelarono inespugnabili, e l’offensiva si arrestò.

24 ottobre 1917. Sfondamento delle truppe austro-tedesche a Caporetto.
Lo scontro, che iniziò alle ore 2,00 del 24 ottobre 1917, rappresenta tutt’ora la più grave disfatta dell’esercito italiano, tanto che, nella lingua italiana, ancora oggi il termine Caporetto viene utilizzato come sinonimo di sconfitta. Le truppe italiane, impreparate ad una guerra difensiva e duramente provate dalle precedenti undici battaglie dell’Isonzo, non ressero l’urto delle forze nemiche e dovettero ritirarsi fino al fiume Piave subendo gravi perdite in termini di uomini e materiale.

9 novembre 1917. Armando Diaz sostituisce Luigi Cadorna.
La sconfitta portò alla sostituzione del generale Luigi Cadorna, che aveva imputato l’esito infausto della battaglia alla viltà dei suoi soldati, con Armando Diaz. I soldati italiani si riorganizzarono abbastanza velocemente e diedero prova del loro valore, creduto perso, fermando le truppe austro-ungariche e tedesche nella successiva prima battaglia del monte Grappa permettendo così all’intero esercito di difendere ad oltranza il Piave.

20 novembre 1917. L’attacco dei carri armati a Cambrai.
Senza il preavviso dei tiri d’artiglieria, 476 carri armati inglesi colsero di sorpresa le difese tedesche, ma queste poi passarono al contrattacco recuperando tutto il terreno perduto.

21 marzo 1918. L’offensiva tedesca di primavera.
Dopo aver firmato la pace con la Russia, i tedeschi erano in grado di spostare molti soldati sul fronte occidentale. Il fronte anglo-francese fu rotto e l’avanzata tedesca sembrava inarrestabile, ma si riuscì a fermarla ancora una volta sulla Marna. Dopo avere avuto 168.000 perdite, i tedeschi si ritirano.

15 giugno 1918. Battaglia del solstizio
Gli austriaci, causa le loro gravi difficoltà di approvvigionamento, volevano raggiungere la fertile pianura padana, sino al Po, e soprattutto, in un momento di grave difficoltà interna dell’Impero Austro-Ungarico per il protrarsi della guerra, intendevano dare al conflitto una svolta decisiva, che permettesse un completo sfondamento del fronte italiano, come era già avvenuto con l’offensiva di Caporetto, e consentisse quindi di liberare forze da concentrare in un secondo momento sul fronte franco-tedesco. L’offensiva era stata preparata con grande cura e larghezza di mezzi dagli austriaci che, talmente sicuri del successo, avevano persino preparato in anticipo i timbri ad inchiostro da usare nelle zone italiane da occupare. Tuttavia, a differenza di Caporetto, questa volta gli italiani conoscevano in anticipo i piani del nemico, compreso data e l’ora dell’attacco, tanto che nella zona del Monte Grappa i colpi di cannone delle artiglierie italiane anticiparono l’attacco degli austriaci, lasciandoli disorientati. Le artiglierie del Regio Esercito, appena dopo la mezzanotte, spararono migliaia di proiettili di grosso calibro, per quasi tre ore, tanto che gli alpini che salivano a piedi sul M.te Grappa videro l’intero fronte illuminato a giorno. La mattina del 15 giugno 1918, gli austriaci arrivando da Pieve di Soligo-Falzè di Piave, riuscirono a conquistare il Montello e il paese di Nervesa. La loro avanzata continuò successivamente sino a Bavaria (sulla direttiva per Arcade), ma furono fermati dalla possente controffensiva italiana. Le passerelle gettate sul Piave dagli austriaci il 15 giugno 1918 vennero bombardate incessantemente dall’alto e ciò comportò un rallentamento nelle forniture di armi e viveri. Ciò costrinse gli austriaci sulla difensiva e dopo una settimana di combattimenti, in cui gli italiani cominciavano ad avere il sopravvento, i nemici decisero di ritirarsi oltre il Piave, da dove erano inizialmente partiti. Centinaia di soldati morirono affogati di notte, nel tentativo di riattraversare il fiume in piena. L’esercito Austro-Ungarico attraversò il Piave anche in altre zone. Conquistarono pure le Grave di Papadopoli ma si dovettero successivamente ritirare. A Ponte di Piave percorsero la direttiva ferroviaria Portogruaro-Treviso, dopo alcune settimane di lotta, nella zona di Fagarè, vennero ricacciate dagli arditi italiani. Passarono il Piave anche a Candelù, Zenson e Fossalta, ma la loro offensiva si spense in pochi giorni.
Nel frattempo gli italiani, alla foce del fiume, avevano allagato il territorio di Caposile, per impedire agli austriaci ogni tentativo di avanzata. Dal fiume Sile i cannoni di grosso calibro della Marina Italiana, caricati su chiatte, che si spostavano in continuazione per non essere individuati, tenevano occupato il nemico da San Donà a Cavazuccherina (Jesolo). Gli austriaci tra feriti, prigionieri e morti ebbero quasi 150 mila perdite. Le perdite italiane furono circa 90mila.
Il generale croato Borojevic, comandante delle truppe austriache del settore e fautore dell’offensiva, capì che ormai l’Italia aveva superato la disfatta di Caporetto, grazie anche ai giovani soldati della leva del 1899, soprannominati “ragazzi del 99”.

10 giugno 1918. Affondamento della Szent Istvan.
Due mas italiani, comandati da Luigi Rizzo, affondarono la corazzata austriaca Szent Istvan, facendo così fallire un attacco allo sbarramento navale del canale d’Otranto. Fu l’ultima missione della Imperialregia flotta, già minata da ammutinamenti politici e etnici.

15 luglio 1918. Seconda battaglia della Marna.
Un altro attacco tedesco venne lanciato sul fronte della Marna, ma venne respinto grazie alla presenza delle truppe statunitensi e fu l’ultimo tentativo tedesco di rovesciare le sorti della guerra.

8 agosto 1918. L’offensiva di Amiens.
Questo attacco alleato ebbe subito successo, I tedeschi fecero una debole resistenza e furono costretti a ritirarsi di 12 km. Era l’inizio della fine.

21 agosto 1918. La breccia di Albert.
I tedeschi sono costretti a ritirarsi di 55 km fino alla linea Meuse-Argonne che venne tenuta fino ad un’altra offensiva del 4 ottobre che portò alla sconfitta finale del 4 novembre 1918.

23 ottobre 1918. L’offensiva italiana di Vittorio Veneto.
Il generale Diaz sul fronte del Piave lanciò un’offensiva che, dopo alcune difficoltà iniziali, portò al collasso dell’esercito austro-ungarico e alla sua totale disfatta.

12 gennaio 1919. Conferenza di pace a Parigi.
In un’Europa sconvolta dalle rivoluzioni, iniziò la conferenza della pace che finisce il 28 giugno 1919 con la firma del Trattato di Versaillese e con successivi altri trattati fino al 20 gennaio 1920: Sant Germain con l’Austria, Trianon con l’Ungheria, Neully con la Bulgaria e Sèvres con la Turchia.

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GALLERIA FOTOGRAFICA

Gionale La Stampa annuncia la dichiarazione di guerra

Milano, manifestazione a favore dell’entrata in guerra

Generale Luigi Cadorna

Generale Armando Diaz

Passo Falzarego sullo Stelvio

Monte Scorluzzo, Passo dello Stelvio

Passo Umbrail sullo Stelvio

Monte Sabotino

Monte Grappa, soldato scrive ai familiari

Adamello

Ponte distrutto sul Piave

Stazione radiotelegrafica

Scavo galleria per postazione armamenti

Obice

Due soldati

Colonna di muli per rifornimento ad alta quota

Postazione ad alta quota

All’ingresso di una galleria alcuni soldati lavano le divise e si fanno la barba

Postazione con cannone

Soldati feriti

Addestramento alla guerra chimica

Sentinelle ad alta quota

Brigata Sassari

Cortina d’Ampezzo, hotel distrutto

Conquista di Vittorio Veneto

Aereo della ditta Caproni

Italiani irredentisti impiccati

Prigionieri austriaci

Lago di Garda, imbarco di prigionieri austriaci

1850-1914, cartina dell’Europa

1919, cartina dell’Europa

Confine 24 maggio 1915, linea del fronte dell’ottobre e dicembre 1917

1919, confine italiano

1914-1918, fronte orientale

1915-1917, confine italo-austriaco

Giugno 1915, fronte italo-austriaco

Fine 1915, fronte italo-austriaco

Battaglia di Caporetto

24 ottobre 1917, Caporetto, sfondamento austro-tedesco

1918, fronte di Caporetto

1916, fronte dell’Isonzo

Giugno 1916, Strafexpedition

1918, battaglia di Vittorio Veneto

Fronte zona Gorizia

1914-1918, fronte occidentale

1918, fronte occidentale