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La favola di Gae

C’era una volta, nemmeno tanti anni fa, un ragazzino di Cinisello Balsamo, magrolino, con una folta zazzera di capelli nerissimi e uno sguardo timido, buono e al contempo tenace e volitivo.
Si chiamava Gaetano Scirea, ma per gli amici della parrocchia di San Pio X era semplicemente Gae: chierichetto modello in chiesa e asso richiestissimo nelle partite sul campetto polveroso dell’oratorio.
Avrebbe giocato a pallone dalla mattina alla sera Gae, come tutti i ragazzini del resto. Un giorno palleggiava contro il muro di casa sua sbocconcellando un panino: calciava di destro e di sinistro indifferentemente, imprimendo alla palla traiettorie pulite e precise, e intanto non smetteva di addentare il suo sandwich.
Da lontano lo osservano due occhi estasiati: il Gianni è un giovane ex calciatore, gli basta poco per intuire in quel ragazzino ossuto e dinoccolato il talento puro del fuoriclasse, che ha solo bisogno di maturare col tempo.
"Vuoi giocare nella Serenissima?" gli chiede senza esitare.
Gae abbassa lo sguardo e accenna di sì con il capo. Comincia così il suo rapporto con il Gianni, che per lui diventa un po’ allenatore, un po’ fratello maggiore, un po’ consigliere. Insomma, un grande amico.
Insieme vincono molti tornei oratoriani, dove si gioca con squadre di 7 giocatori, e Gae segna caterve di gol. Il Gianni se lo coccola, ma sa che per lui ormai quelle platee sono troppo strette.

Così prepara la grande avventura: va a Bergamo, parla con i dirigenti dell’Atalanta e procura un provino al suo pupillo.
Il ragazzino se la cava bene, segna anche tre gol, ma gli allenatori nerazzurri tentennano: - E’ piccolo. E’ un po’ gracile. - commentano perplessi.
Inaudito: qualche bistecca e un po’ d’allenamento fanno crescere i muscoli, ma la classe non si compera un tanto al chilo! Quella o c’è o non c’è! Non si può valutare un giovane calciatore solo a peso e a centimetri.
Allora il Gianni prende il coraggio a due mani e va a parlare con il dottor Brolis, il responsabile del Settore Giovanile, decantando le qualità di Gae: - Lo guardi: sempre a testa alta, palla al piede, falcata elegante, tocco morbido e preciso con entrambi i piedi, gran visione di gioco!
E lì… il Gianni segna il gol più importante della sua carriera di talent scout.
Gae passa all’Atalanta per 150.000 lire, tutte consegnate al parroco di San Pio X per le necessità dell’oratorio.

E’ il 1967. Il ragazzo per allenarsi va avanti e indietro in autobus a Bergamo, così è costretto a lasciare la scuola: è il primo, e forse unico dispiacere che dà a suo padre.
Gae percorre tutta la trafila delle giovanili con il suo stile: educato, modesto, timido fuori dal campo. Leale e corretto in campo, dove gioca a testa alta, palla al piede, falcata elegante, tocco morbido e preciso con entrambi i piedi, gran visione di gioco.
Il 24 settembre 1972 esordisce in serie A: venti partite in quel campionato, velate solo dall’amarezza della retrocessione. L’anno dopo ne disputa 38 in serie B, segnando anche un gol. Vince il campionato cadetto ed è richiesto da tutte le più grandi squadre.
Da anni un filo diretto lega l’Atalanta alla Juventus e diverse promesse bergamasche sono già finite in maglia bianconera.
Per Achille Bortolotti, il presidente atalantino, la cessione di Gae è un’esperienza particolare. Telefona personalmente al presidente bianconero Giampiero Boniperti: - Questo qui te lo porto io a Torino, perché è merce rara. - gli dice con il groppo in gola. Poi lo accompagna all’incontro con il grande calcio: la Juventus.
In squadra Gae deve sostituire un mostro sacro come Sandro Salvadore, ma in poche settimane cancella tutti i dubbi. Gioca ’libero’, a modo suo, come ha sempre fatto: testa alta, palla al piede, falcata elegante, tocco morbido e preciso con entrambi i piedi, gran visione di gioco. Anche con tenacia e grinta, ma sempre corretto, incapace di commettere un fallo cattivo.
Gli spogliatoi juventini sussurrano che una volta Boniperti, che ai suoi tempi in partita non era certo uno stinco di santo e, all’occorrenza, qualche colpo proibito lo rifilava, gli abbia chiesto quasi supplicandolo: - Gae, fammi vedere un fallo. Uno solo!
Arrossendo e con gli occhi bassi Gae gli risponde: - Presidente, la classe non è acqua!
Non è una spacconata. E’ la verità: lui non ha bisogno di giocare duro, di picchiare, per fermare gli avversari.
Boniperti gli vuole un gran bene e anche Giovanni Trapattoni, il Trap, il suo allenatore, stravede per quel ragazzo d’oro.
Sempre i muri degli spogliatoi del Comunale di Torino raccontano che, al termine di una partita finita non benissimo per i bianconeri, nell’atmosfera ancora concitata, Gae sia andato dal Trap a scusarsi: - Mister, mi dispiace, ce l’ho messa tutta ma proprio non ce l’ho fatta a evitare quel gol.
Sorpreso e commosso, l’allenatore di Cusano Milanino gli rifila un buffetto, congedandolo: - Va’ sereno grande uomo e campione!

Gae vince tre scudetti e nel 1978 partecipa ai Mondiali in Argentina, segnalandosi come uno dei migliori ’liberi’ del torneo. Ormai è un calciatore di fama mondiale, titolare nella Juventus e in Nazionale, ma ha ancora un debito da saldare con se stesso e con suo padre: il diploma di Scuola Media Superiore.
Ci si mette di buzzo buono, strappando le ore al riposo e alla famiglia - nel frattempo si è sposato con Mariella - riprende in mano i libri, studia con la serietà e l’impegno che mette nel calcio, e conquista l’agognato Diploma. E’ felice per sé e per il suo vecchio, che quando lo vede continua a chiamarlo affettuosamente "Forestiero".
Vince ancora tantissimo: altri quattro scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea, una Coppa dei Campioni, una Coppa UEFA e una Coppa delle Coppe.
In Nazionale nel 1982 è uno dei protagonisti del Mundial di Spagna, con Enzo Bearzot allenatore: un friulano tutto d’un pezzo, dall’animo sensibile e propenso a valutare prima l’uomo del calciatore. C’era un feeling particolare tra lui e Gae, come tra lui e Zoff: gente di poche parole, ma concreta e leale nella vita come sul campo. Insieme percorrono il travagliato cammino che porta l’Italia alle palpitanti sfide con il Brasile e l’Argentina, alla semifinale con la Polonia e alla finale di Madrid, vinta contro la Germania.

Ma nemmeno un grande ’libero’ come Gae può fermare il tempo: l’età che avanza, le gambe che faticano a rispondere alle sollecitazioni del cervello.
In punta di piedi, il 15 maggio 1988 dà l’addio al calcio con un altro record: mai espulso e mai squalificato, né nell’Atalanta, né nella Juventus né in Nazionale.
Mariella, in gran segreto, prepara una festa in suo onore a Torino, ma Gae ha già preso un impegno con mister Trapattoni: devono dare il calcio d’inizio del torneo organizzato dal Gianni e dagli altri amici dell’oratorio San Pio X.
La sua festa può attendere. E’ più forte il richiamo dei cari, vecchi amici e di quel campetto polveroso.
Dove lui, Gae, giocava sin da ragazzino con quel suo stile inconfondibile: testa alta, palla al piede, falcata elegante, tocco morbido e preciso con entrambi i piedi, gran visione di gioco.

Data ultima modifica: 20 dicembre 2010
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