CORNEO MARIA

Nacque il 4 giugno 1919 a Cinisello da Edoardo Corneo e Serafina Capitani. Residente a Sesto San Giovanni, svolgeva la professione di filettatrice al tornio alla V Sezione della Breda.

La notte tra il 13 e il 14 marzo 1944 fu arrestata presso la sua abitazione per aver partecipato allo sciopero iniziato l’1 marzo 1944 e che per otto giorni aveva bloccato le più grandi fabbriche del Nord.

Maria Corneo fu rinchiusa dapprima a Milano a San Fedele e poi a San Vittore. Venne in seguito condotta a Bergamo e imprigionata nella Caserma Umberto I.

Il 5 aprile fu caricata su vagoni piombati che partirono dalla stazione di Bergamo e giunsero a Mauthausen (Austria) l’8 aprile. In seguito venne trasferita al carcere centrale di Vienna (Austria). Il 2 maggio fu deportata al Lager di Auschwitz-Birkenau (Polonia) dove le venne assegnata la matricola 81298. Il 24 ottobre fu trasferita a Chemnitz (sottocampo di Flossenbürg - Germania) dove le fu assegnata la nuova matricola 56365. Infine, in data non nota, venne deportata a Leitmeritz (sottocampo di Flossenbürg - oggi Litoměřice nella Repubblica Ceca).

Maria Corneo fu una delle deportate sopravvissute all’esperienza del Lager.

Dopo la Liberazione le fu riconosciuta, per un periodo di sedici mesi, la qualifica di partigiana operante con la 128^ Brigata Garibaldi S.A.P. (Squadre di Azione Patriottica) Angelo Esposti.

Il suo nome compare su uno dei masselli del monumento Al deportato sito all’interno del Parco Nord Milano a Sesto San Giovanni.

I deportati che partirono su vagoni piombati dalla stazione di Bergamo verso i campi di concentramento sono ricordati, senza indicazione del nome, sulla lapide Ai lavoratori deportati a seguito degli scioperi del 1944 nell’Italia settentrionale sita nella stazione ferroviaria di Bergamo.

PER APPROFONDIRE

Le cinque donne arrestate, tutte operaie della Breda, furono le uniche a essere deportate ad Auschwitz-Birkenau. Erano: Angelica Belloni di Balsamo, 18 anni, Maria Corneo di Sesto San Giovanni, 24 anni, Rosa Crovi di Balsamo, 16 anni, Maria Fugazza di Cinisello, 19 anni e Ines Gerosa di Cinisello che aveva compiuto 19 anni da pochi giorni.
Si trattava di ragazze molto giovani, in particolare Rosa Crovi, che tutti chiamavano Rosella, era la più giovane di tutti i deportati dell’area industriale di Sesto San Giovanni.
Furono arrestate tutte insieme, la notte tra il 13 e il 14 marzo 1944.
A parte Angelica Belloni che seguì percorsi diversi, le altre, un gruppo di sette donne tutte della Breda, rimasero quasi sempre insieme; opportunità che diede loro un sostegno per affrontare il dramma.

Cosa possono aver provato delle ragazze così giovani, prelevate da casa di notte, senza una spiegazione, portate in carcere senza aver commesso alcun reato?
Poichè i militi fascisti fecero credere che le avrebbero condotte a lavorare in Germania; i genitori si indebitarono per portare loro in carcere tutto l’occorrente per potersi vestire adeguatamente durante la permanenza in quel Paese.

I loro familiari, con quelli di altri deportati, andarono a Bergamo, dove erano state rinchiuse nella Caserma di Cavalleria Umberto I e buttate a dormire sulla paglia. Riuscirono unicamente ad assistere al triste corteo di quei disperati, dalla caserma alla stazione, da dove sarebbero partiti verso i Lager in Austria e in Germania. Ai lati, i parenti cercarono di salutarle, di abbracciarle, di avvicinarsi. Ma i soldati, urlando, impedirono ogni contatto.

Lì i fascisti consegnarono i deportati ai nazisti!

Partirono così, con la valigia che le famiglie avevano preparato per loro, su vagoni piombati, stipate con gli altri deportati. Dopo tre giornate di viaggio, arrivarono a Linz e Mauthausen in un giorno che avrebbe dovuto essere di festa: era l’8 aprile, la vigilia di Pasqua. Poi a piedi per chilometri, gli ultimi in salita verso il campo di Mauthausen, arrancando con la loro valigia. E poi Vienna e poi Auschwitz-Birkenau, sempre trascinando quella valigia. Solo alla fine compresero in che inferno erano arrivate. Solo dopo la doccia, la rasatura della testa, il numero inciso sul braccio; solo dopo che portarono loro via la valigia e in cambio ricevettero una divisa a strisce e un paio di zoccoli spaiati: solo allora compresero.

Privazioni, paura, fatica. Lavoravano anche dodici ore al giorno, nel Lager o nei campi, nelle fabbriche, anche sotto i bombardamenti. La mattina, dopo l’appello e la formazione dei gruppi di lavoro, si incamminavano a tempo di musica verso la destinazione, e se non marciavano a ritmo, aizzavano i cani.

Erano sempre affamate perché lavoravano tanto, ricevevano poco da mangiare, solo rape e carote, e poca acqua. Tutto veniva consumato in ciotole arrugginite.

E poi le selezioni. Chi non reggeva veniva eliminato. Oppure contavano l’undicesimo della fila, un numero a caso, mai lo stesso, ed eri morto. E quelle giovani ragazze erano costrette anche a trasportare i cadaveri al forno crematorio.

La privazione e la paura sono il primo passo verso l’annientamento della persona. Nel campo dovevano sfilare nude, anche le anziane, davanti ai soldati e davanti ai kapò.
Queste sono cose che non si dimenticano più.

Rosa Crovi dopo il ritorno non riuscì più a dormire al buio. Tutte le notti erano incubi. Tornata in città aveva anche trovato i paramenti funebri con il suo nome. Ines Gerosa ebbe la salute minata, problemi ai polmoni che la costrinsero negli ultimi anni della sua vita a stare attaccata alla bombola d’ossigeno.

Erano dimagrite per la fame e i patimenti subiti, ma tornarono gonfie, quasi irriconoscibili a causa dei medicinali che costringevano ad ingerire per bloccare il ciclo mestruale.

Diceva Ines Gerosa: “Credevano che fossimo andate volontarie per andare con i tedeschi, noi donne siamo state giudicate così quando siamo tornate, è stato uno schiaffo morale più di quello che abbiamo subito là”.
Per le donne il reinserimento nella vita di tutti i giorni fu tremendo: dopo tanti patimenti dovettero anche affrontare le malelingue, la cattiveria e l’ignoranza della gente.
Dopo la guerra nessuno voleva più sentire storie tristi, tutti volevano dimenticare e ricominciare da capo. Alcuni dei loro racconti, poi, erano davvero difficili da credere. Quello che avevano vissuto era veramente incredibile, era l’indicibile di cui parlava Primo Levi.

Eppure, nonostante le sofferenze e le umiliazioni subite, quel numero inciso sul braccio lo hanno sempre portato con orgoglio.

Registro della prigione 1
Registro della prigione 2
Documento della Commissione Riconoscimento Qualifiche Partigiane
Documento del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Servizio Internazionale di Ricerche


GALLERIA FOTOGRAFICA

Maria Corneo

Parco Nord, Monumento Al deportato, massello dove è inciso il nome di Maria Corneo

27 maggio 1945, Falkenhain (Germania), Rosa Crovi, Maria Fugazza e Maria Corneo con altre deportate subito dopo la liberazione del campo

24 agosto 1945, Varazze (Savona), alcune deportate in una fotografia di gruppo; la Breda le aveva mandate al mare per riprendersi dopo la tragica esperienza del Lager

24 agosto 1945, Varazze (Savona), sul retro di una delle fotografie le deportate scrivono a una compagna che non aveva potuto essere con loro

Maria Corneo con un’amica

Maria Corneo con un’amica