GALBUSERA LEANDRO

Nacque il 20 gennaio 1916 a Balsamo da Pietro Galbusera e Giromina Castelli. Frequentò la scuola fino al terzo corso professionale. Sposato con Speranza Biffi, abitava a Sesto San Giovanni (Milano). Svolgeva la professione di aggiustatore meccanico alla Falck Concordia OMAN.

Il 9 settembre del 1939 fu richiamato alle armi come geniere telegrafista; venne destinato prima al fronte francese e in seguito al fronte greco-albanese, dove contrasse la malaria.

Il giorno dell’Armistizio si trovava a Potenza; dopo lo sbarco degli Alleati a Salerno fu fatto prigioniero. A novembre iniziò come volontario a collaborare con l’O.R.I. (Organizzazione Resistenza Italiana), organizzazione che era in contatto con l’O.S.S. (Office of Strategic Services) americano per azioni di intelligence. Avendo una specializzazione come radio-telegrafista, possiamo ipotizzare che gli fu chiesto di collaborare per combattere contro i nazisti e i fascisti, anziché rimanere prigioniero degli Alleati. Prima di essere impiegato in tali azioni, venne istruito con un corso di preparazione come paracadutista.

Entrò a far parte, come radio-operatore capo rete, del team Licata guidato dal professor Ottorino Maiga. Operò, con il nome di battaglia Nando, principalmente nelle zone del nord Italia ancora occupate dai nazisti per portare rifornimenti e informazioni ai partigiani, nel periodo dal 17 marzo 1944 fino al suo arresto.

Verso la fine del 1944 tornò a casa a Sesto San Giovanni in quanto la madre era ammalata. Sia lui che il padre furono arrestati l’1 gennaio 1945 per una delazione. Leandro Galbusera, dopo essere stato incarcerato a San Vittore, fu portato all’Albergo Regina, dove subì due pesanti interrogatori. Raccontava la vedova che per farlo parlare veniva torturato, anche riempiendogli la bocca di sale. Negli anni successivi queste torture gli procurarono seri problemi psicologici nonché fisici in quanto il sale gli aveva bruciato il palato e compromessa la dentatura.

Il 17 gennaio fu deportato al campo di Bolzano e immatricolato con il numero 8537C.

Fu liberato il 2 maggio 1945.

Dopo la Liberazione gli fu riconosciuta la qualifica di partigiano operante con il C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) Aziendale Falck e successivamente con il Quartier Generale del C.V.L. (Corpo Volontari della Libertà) di Milano.

La sorella di Leandro, Margherita, nome di battaglia Marga, dall’1 maggio 1944 al 25 aprile 1945, fu staffetta di collegamento tra il C.V.L. centrale e i componenti della radio clandestina in zona Mottarone.

Il nome di Leandro Galbusera compare su uno dei masselli del monumento Al deportato sito all’interno del Parco Nord Milano a Sesto San Giovanni.

E’ inoltre ricordato, senza indicazione del nome, sulla lapide Agli antifascisti, ai resistenti, agli essere umani reclusi, torturati, assassinati all’Albergo Regina sita a Milano in via Silvio Pellico angolo via Santa Margherita.

PER APPROFONDIRE

Le partenze per i lanci in territorio occupato potevano avvenire indifferentemente dal campo algerino di Blida, come dal campo di Brindisi. Gli apparecchi più spesso impiegati per questo genere di missioni erano gli Halifax, potenti quadrimotori inglesi che per l’occasione venivano disarmati. Gli agenti da paracadutare erano muniti di gomitiere, ginocchiere, parastinchi, tute imbottite e pastrano; così conciati, apparivano più simili a goffi fantocci che a esseri umani.

Ogni lancio era uguale agli altri: il volo di notte, la lampadina verde che si accende quando l’aereo giunge sull’obbiettivo, i secchi ordini del sergente, il tuffo giù dalla botola nel buio pesto, il sollievo dello strattone del paracadute che si apre e, dopo pochi minuti, l’urto sempre duro con il terreno.
Ma anche la fase del volo per il Nord poteva essere un’avventura nell’avventura. Il professor Ottorino Maiga raccontava che lui e gli altri del suo gruppo (Enzo Boeri, Guido Vanzetti e i radio-telegrafisti Aldo Buffa, Giovanni Bono e Leandro Galbusera) furono protagonisti di ben tre tentativi non riusciti di lancio, anche per timore della contraerea. Il terzo di questi voli fu particolarmente drammatico: passando su Genova l’Halifax fu colpito a uno dei quattro motori. Il pilota fece dietrofront e dovette riattraversare tutta l’Italia e scendere verso Brindisi seguendo la costa adriatica. Anche un altro motore diede fastidi e l’apparecchio perse potenza. Dovettero buttare a mare tutti gli oggetti superflui per alleggerirlo. Uno si offerse di gettarsi con il paracadute, ma ormai erano troppo bassi; volavano a pochi metri dall’acqua. Nonostante ciò riuscirono ad arrivare a Brindisi.

Enzo Boeri aveva fatto parte dell’O.R.I. di Edmondo Craveri e successivamente si era offerto di far parte delle missioni organizzate dall’Office of Strategic Services americano. Come capo di una di queste missioni, la Apricot-Salem, era stato paracadutato al Nord. Sapeva che il suo compito era di intelligence, ma non poteva certo prevedere che di lì a pochi mesi avrebbe diretto tutto il servizio informazioni del C.V.L. Aveva indicato un pin point ai servizi americani in una zona che conosceva bene e che si prestava a un lancio con il paracadute. Era la regione collinosa tra il Lago Maggiore e il Lago d’Orta, sotto il Mottarone. L’atterraggio avvenne nel territorio di Gignese (Verbano Cusio Ossola). Il pilota li scodellò in un fazzoletto di prato di non più di cento metri di larghezza. Ottorino Maiga rischiò per un pelo di cadere su un roccione, mentre Boeri si strappò i pantaloni piombando su un cespuglio; nel buio si toccò la natica dolente e sentì la mano umida di sangue. Con voce soffocata ma allegra disse a Maiga: “E’ di buon auspicio!”. Erano arrivati sul pin point verso le ore 5.20 del 17 marzo 1944.
Boeri raccontò: “Siamo scesi senza alcun incidente nel punto esatto che avevo proposto. Eravamo: il mio radio-operatore Gianni Bono e io (team Apricot-Salem), il professor Ottorino Maiga e il suo radio-operatore Leandro Galbusera (team Licata). Recuperammo il materiale paracadutato e constatammo con dispiacere che un solo apparecchio radio era stato lanciato e che non si trattava del mio. Comunque fummo subito d’accordo, Maiga e io, che avrei usato io l’apparecchio. Sono sempre stato grato a Maiga di questa cortesia; la cosa si spiega col fatto che io sarei entrato subito in azione, mentre egli doveva recarsi in missione a Campione, in Svizzera”.

Raccontò Maiga: “Eravamo atterrati da pochi minuti quando sentimmo dei cani abbaiare; ci avevano detto che tedeschi e fascisti usavano i cani poliziotto per dare la caccia ai paracadutisti. Impugnammo le grosse pistole che ci avevano dato in dotazione e io gridai: ’chi va là?’. Una voce rispose a sua volta: ’chi è là?’. Io risposi: ’Paracadutisti’. Era un contadino piuttosto spaventato; lo rassicurammo e passammo la notte nella sua baita. Gli regalammo i paracadute di seta meravigliosa raccomandandogli per il suo bene di nasconderli e aspettare tempi migliori per farne camicie. Non ci diede retta, i fascisti lo scoprirono ed ebbe grosse rogne. Intanto io ero stato colto da una febbre violentissima. Scendemmo a Stresa dove Renato, il fratello di Boeri, studente in medicina, mi diagnosticò la malaria”.

Gli uomini delle due missioni si sistemarono in una villa di Stresa di proprietà del padre di Boeri. Il radio-telegrafista Leandro Galbusera trasmise il primo messaggio per confermare l’arrivo delle missioni. Il messaggio cominciava con le parole “figlio di puttana” in inglese; così era stato convenuto.

Il 20 marzo 1944, cioè solo tre giorni dopo il lancio sul Mottarone, Boeri prendeva contatto a Milano con gli uomini del C.L.N.A.I. (Corpo Volontari della Libertà Alta Italia). Il primo fu l’avvocato Vittorio Albasini Scrosati (Cleofe), liberale. Poi conobbe Leo Valiani e infine, attraverso un primo contatto col segretario Francesco Brambilla, si incontrò con Ferruccio Parri. Da quel momento iniziò a diventare operativa la fusione della missione O.S.S. di Boeri con gli organismi di lotta della Resistenza; un fatto destinato a essere estremamente fecondo, un episodio positivo, il cui merito va indubbiamente ai servizi segreti americani.

Certificato di apprezzamento del comune di Sesto San Giovanni
Scheda del Corpo Volontari della Libertà 1
Scheda del Corpo Volontari della Libertà 2
Dichiarazione di Leandro Galbusera al C.L.N. Falck
Dichiarazione delle SS di rilascio dal Lager di Bolzano
Documento del Comitato Internazionale della Croce Rossa, Servizio Internazionale di Ricerche
Testimonianza di Speranza Biffi, vedova di Leandro Galbusera


GALLERIA FOTOGRAFICA

Leandro Galbusera

Leandro Galbusera

Parco Nord, Monumento Al deportato, massello dove è inciso il nome di Leandro Galbusera

Lager di Bolzano

Celle del lager di Bolzano

Bolzano, 28 giugno 1945, i C.L.N. delle fabbriche organizzano i trasporti per riportare i deportati a casa