LA MADONNA PELLEGRINA MUTILATA DA UNA BOMBA A BAREGGIO (MI)

Erano le 21.30 di sabato 31 luglio 1948 quando la processione con in testa la Madonna Pellegrina partì da Bareggio alla volta di San Pietro all’Olmo. Il corteo di circa tremila fedeli era aperto da un crocifisso coi chierichetti che precedevano la statua della Madonna collocata su un carro addobbato e trainato da tre cavalli, dove c’erano anche una ventina di bambini vestiti da angioletti.

In località San Martino, in prossimità del quadrivio detto Quattro strade (ora via Madonna Pellegrina), alle ore 23.10 circa, venne lanciata una bomba a mano contro la statua della Madonna. Gli attentatori, nascosti nei campi di grano, si servirono di un lungo e stretto corridoio utilizzato per l’irrigazione del granoturco, per giungere, senza essere visti, a nove metri di distanza dalla processione e lanciare, in piedi su una sedia, la bomba che colpì la statua, staccandole di netto metà del braccio destro.

Una miriade di schegge si sparse tutto intorno e investì le bambine più piccole che erano sedute sul carro. Una scheggia colpì anche uno dei cavalli che fortunatamente non si imbizzarrì, evitando così altri ferimenti. Si contarono una trentina di feriti, tra i quali anche Elena di ventidue anni, sorella di Giovanni Beltrame, segretario della sezione del P.C.I. (Partito Comunista Italiano) di Bareggio. Ma i più gravi furono: Floriana Paroni, di sette anni, colpita da numerose schegge al dorso e alla testa, Maria Ravelli, di nove anni, che ebbe la guancia sinistra lacerata, il ventiduenne Battista Baroni colpito al ventre, Maria Grazia Landini di otto anni e Ines Brambilla che perderà un occhio. Ci furono scene di panico, le mamme in fondo al corteo si fecero largo tra la folla per cercare i figli, il vecchio parroco, don Felice Biella, alla vista di tutto quel sangue, svenne.

Appresa la notizia dell’attentato, il giorno successivo, domenica 1 agosto, il cardinale Ildefonso Schuster fece visita ai feriti e sostò a pregare ai piedi della statua mutilata. Nel pomeriggio fecero visita ai feriti anche il sottosegretario agli Interni onorevole Marazza e il sottosegretario alla Difesa onorevole Meda. Il sindaco comunista Barella e la Giunta scrissero al parroco e alla minoranza democristiana: “[...] deploriamo sinceramente questa ignobile iniziativa, costernati per questi atti criminali asserviti all’odio e all’opera di distruzione.”

La notizia rimbalzò sulle cronache dei giornali e travalicò i confini locali. Il Corriere della Sera, in anticipo sugli altri giornali, ne diede comunicazione già dal giorno successivo. La stampa cattolica attribuì l’attentato a odio ideologico: “[...] Il bagliore che ha illuminato sinistramente la notte - scrisse L’Italia del 3 agosto - mentre la divina Pellegrina passava accompagnata da bimbi rivestiti di candide ali, ha la luce livida dell’odio [...] che si tramuta in gesti folli e in manifestazioni di belluina ferocia.” Il giornale comunista L’Unità contrattaccò con un articolo a tre colonne dal titolo ”A Bareggio come a Portella il neofascismo ha sparso il sangue”, denunciando l’esistenza, nel vicino paese di Vittuone, di un gruppo di neofascisti. Il giornale sottolineava che esistevano rapporti di reciproca stima tra l’Amministrazione comunale socialcomunista e le autorità religiose, in particolare tra il sindaco e il parroco.

Le indagini, condotte dai Carabinieri di Corbetta, dalla squadra politica della Questura di Milano e della Tenenza di Legnano, furono immediate; già il giorno seguente, domenica 1 agosto, i Carabinieri arrestarono i primi due sospettati, le cui generalità vennero inizialmente tenute segrete.
Dopo l’interrogatorio si misero sulle tracce di altri cinque individui. Ne fermarono uno che era stato visto sul luogo dell’attentato pochi minuti prima dello scoppio della bomba; poi l’indagine si spostò a San Pietro all’Olmo, dove vennero fermati due giovani, mentre altri due dello stesso paese furono fermati a Milano il giorno seguente, 2 agosto.

Il 4 agosto la Questura diramò un comunicato nel quale si affermava che l’autore dell’attentato era il ventenne meccanico Leandro Porro, mentre ideatore del gesto risultava essere il muratore venticinquenne Antonio Frattini, ambedue di San Pietro all’Olmo. Avevano partecipato all’organizzazione e all’esecuzione altri quattro giovani: il nichelatore Enrico Baggini di 21 anni di Bareggio, l’artigiano Angelo Colombo di 19 anni, il muratore Lanfranco Villa di 18 anni e l’operaio Ermes Fagnani di soli anni 15, tutti di San Pietro all’Olmo. Cinque di loro risultarono iscritti al Partito Comunista, mentre il Frattini fu indicato come anarchico.

Appresa la notizia, L’Unità polemizzò sul fatto che i nomi dei fermati erano stati fatti da Antonio Garavaglia, responsabile della sezione democristiana di Bareggio, e che gli stessi, da testimonianze raccolte, risultavano invece essere lontani dal luogo dell’attentato.

Dopo i primi interrogatori, gli arrestati, eccetto Porro e Frattini, confessarono. Le accuse formulate erano: strage, offesa alla religione, turbamento di funzione religiosa, lesione in danno di trentuno persone, detenzione di armi e triplice tentato omicidio.

Il 5 agosto L’Unità commentò: “[...] tra gli attentatori figurano alcuni che avevano aderito al nostro partito, noi sentiamo il dovere di essere più duri nella condanna [...] cercheranno di sfruttare lo sdegno provocato in tutti gli uomini di mente per scavare ancora altre barriere fra italiani, seminare odio contro i comunisti [...], c’è stato qualcuno che ha illuso dei giovani lavoratori distaccandoli dalle sane direttive del nostro partito per eccitarne gli animi e trascinarli ad atti inqualificabili e addirittura delittuosi [...] non è neppure pensabile che qualcuno si illuda di combattere la propaganda democristiana lanciando bombe contro una processione. Le bombe le abbiamo usate contro tedeschi e fascisti nella guerra di Liberazione, mai verso il popolo col quale la nostra arma è stata sempre quella della persuasione e del convincimento”.

Alle ore 8 del 6 agosto anche Leandro Porro confessò, dichiarando di essere stato istigato dai principi politici del Frattini e di essersi amaramente pentito di quello che aveva fatto; sostenne che la sua intenzione era di danneggiare la statua, non le persone. Sempre in mattinata venne arrestato anche il comunista Antonio Ghislandi che avrebbe fornito le bombe al Porro.

Il 7 agosto Porro fu messo a confronto con il Frattini che finì per confessare a sua volta. Da questo interrogatorio, a tratti drammatico, risultò che inizialmente avevano pensato di lanciare la bomba al passaggio della processione nelle vie del paese, poi invece scelsero la strada fiancheggiata dai campi. Raccontarono che Porro e Frattini si trovavano fra il granoturco, mentre i complici erano strategicamente distribuiti nelle immediate vicinanze.
Nell’abitazione del Porro furono rinvenute altre armi, tra le quali una bomba dello stesso tipo di quella lanciata e una pistola di proprietà del Fagnani. Un’altra bomba era stata fatta esplodere nei campi per provarne l’efficacia.
Dalle confessioni il movente dell’attentato risultò essere l’insofferenza nei confronti del Pellegrinaggio della Madonna, in quanto gli autori ritenevano che si facesse propaganda politica utilizzando la religione.

Il 13 agosto, tutti gli imputati, ad eccezione del minorenne Fagnani rinchiuso al Beccaria, ritrattarono le confessioni, adducendo che queste erano state loro estorte con violenze, minacce e anche torture.

Il 30 dicembre 1949 la Corte d’Assise di Milano, con sentenza contraddittoria, assolse gli imputati per insufficienza di prove.

Successivamente il Procuratore Generale di Milano propose ricorso presso la Cassazione contro l’assoluzione e la Cassazione, con sentenza del 20 novembre 1952, annullò tale giudizio, rinviandoli al Tribunale di Milano per un nuovo processo e rigettò il ricorso di Porro e Frattini.

Il processo si celebrò a Milano nel 1953, gli imputati furono ritenuti colpevoli del delitto di cagionato pericolo di strage, di turbamento di funzione religiosa e condannati a: Porro dodici anni e sei mesi, Frattini tredici anni e sei mesi, Colombo, Baggini e Villa dieci anni e otto mesi con il condono di tre anni e Fagnani sette anni un mese con il condono di tre anni. Vennero invece assolti dall’accusa di offesa alla religione.

I condannati presentarono allora ricorso in Cassazione, ma il ricorso fu rigettato con sentenza del 26 novembre 1954 e la condanna diventò definitiva.

Alla fine del 1954 fu varata un’amnistia di cui beneficeranno i condannati.

Sembrava tutto finito ma il 26 marzo 1955, i quotidiani Avanti e L’Unità pubblicarono la notizia che un baraggese in punto di morte, certo G.G. di 45 anni, artigiano, facente funzione di sacrestano, iscritto all’Azione Cattolica, avrebbe confessato al parroco di essere l’autore dell’attentato alla Madonna Pellegrina. Il Parroco, interrogato, smentì e tutto finì nel nulla.

In seguito all’attentato alla Madonna Pellegrina si diffuse nella zona il detto barigiatt masamadonn (baraggesi ammazzamadonne).

A ricordo dell’attentato fu edificata un’edicola votiva nel punto dove venne lanciata la bomba e fu collocata una lapide con incise le seguenti parole: “Da questo lembo di terra una mano sacrilega lanciava la bomba micidiale contro la Madonna Pellegrina la notte del 31 luglio 1948”. L’edicola fu ripetutamente devastata: il 27 agosto 1949, il 29 giugno 1951, nell’ottobre dello stesso anno e di nuovo a gennaio del 1952.

Intanto la statua venne consegnata agli Artigianelli che si occuparono di fissarne il braccio. Il cardinale Schuster dispose la conservazione, sotto una teca di vetro, delle piccole macchie di sangue rinvenute ai piedi della statua.

Il simulacro di Maria, con i segni ben evidenti dell’atto sacrilego, continuò il suo pellegrinaggio per le contrade della Diocesi fino al 3 giugno del 1949. Al termine, in attesa di decidere la sua destinazione, fu collocata nel convento milanese di clausura delle Carmelitane Scalze. Il 10 aprile 1950 una commissione, nominata dalla comunità di Bareggio, incontrò Monsignor Gorla, presidente del comitato Peregrinatio Mariae e custode della statua, e gli presentò istanza per poter custodire in paese la Madonna Mutilata. Monsignor Gorla affermò che la statua avrebbe potuto essere donata a Bareggio solo quando fosse stato edificato un santuario per contenerla. Ma dietro le insistenze della delegazione decise di fare un’eccezione.

La statua mutilata fu affidata quindi a Bareggio e posta provvisoriamente nella chiesetta di Sant’Anna nella frazione di San Martino, poco distante dal luogo dell’attentato.
Lì rimase fino alla sera del 30 luglio del 1958 quando, per la prima volta dopo l’attentato del 1948, la statua fu portata solennemente in processione per le vie del paese e successivamente sistemata sul terreno dell’erigenda chiesa parrocchiale, al centro di un grande altare.

Il nuovo tempio della Madonna Pellegrina Mutilata, situato lungo la statale, fu ultimato a novembre del 1959 e inaugurato il 24 luglio 1960, alla presenza del cardinale Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini.

Vai alla scheda: " ’Peregrinatio Mariae’ o ’Pellegrinaggio della Madonna’ ".

Vai alla scheda: "La ’Madonna Pellegrina’ fa il suo ingresso a Cinisello Balsamo".

Vai alla scheda: "Le opere di devozione popolare".



GALLERIA FOTOGRAFICA

29 luglio 1948, la statua della Madonna Pellegrina lascia Sedriano diretta a Bareggio

La Madonna Pellegrina in processione prima dell’attentato

La Madonna Pellegrina in chiesa prima dell’attentato

La Madonna Pellegrina con il braccio spezzato dopo l’attentato

L’edicola votiva sorta nel luogo dell’attentato

7 giugno 1959, Monsignor Luigi Oldani posa la prima pietra dell’erigendo tempio della Madonna Pellegrina Mutilata

Il santuario della Madonna Pellegrina Mutilata

L’entrata del santuario della Madonna Pellegrina Mutilata

L’altare con la statua

La statua della Madonna Pellegrina Mutilata