LA BATTAGLIA DI MONTE SAN MARTINO (VA)

Durante la prima guerra mondiale erano state allestite come linea difensiva (attualmente nota come Linea Cadorna) delle fortificazioni militari e un sistema viario a ridosso del confine svizzero per timore di un’invasione della Lombardia da parte degli eserciti austro-germanici attraverso la neutrale Svizzera.

Il Genio Militare, con l’impiego di manovalanza militare e civile, aveva costruito due osservatori, uno sotto l’Oratorio di San Martino e l’altro, per artiglieria, tra la vetta e la sella di Vallalta, oltre a una caserma, una batteria in caverna, unitamente a un labirinto di trincee e camminamenti in località Vallalta.

Venendo meno con il tempo l’interesse militare, le fortificazioni furono abbandonate, salvo utilizzarle di quando in quando per l’addestramento dell’esercito. Invece la caserma in località Vallalta venne destinata ad altri usi: dapprima diventò una locanda e poi una casa di soggiorno estivo dell’Istituto Sordomute Povere di Milano.

Durante la seconda guerra mondiale, dopo l’8 settembre 1943, nelle fortificazioni del San Martino e in Vallalta si costituì una delle prime formazioni partigiane lombarde agli ordini del tenente colonnello Carlo Croce (nome di battaglia Giustizia).

Carlo Croce (ufficiale di complemento dei bersaglieri, comandante di due battaglioni di reclute dell’aviazione da addestrare alla difesa dei campi di aviazione e di una trentina di soldati del 7° Reggimento Fanteria) si trovava nel presidio a Porto Valtravaglia (Va) nella Vetreria Lucchini che era stata requisita.

L’8 settembre 1943 arrivò la notizia dell’Armistizio e Croce si rese conto che il proclama di Badoglio avrebbe avuto come conseguenza l’immediata l’occupazione nazista del territorio italiano e decise di schierarsi contro i tedeschi.

Per prima cosa presidiò con i soldati le vie di accesso alla zona di Porto Valtravaglia e, poiché il presidio non disponeva né di armi né di munizioni, si procurò alcune armi e qualche automezzo attraverso le requisizioni effettuate ai militari di passaggio che stavano fuggendo in Svizzera, ottenendo inoltre dal Comando di Varese diecimila colpi sciolti per fucile.

Fino al 10 settembre sera i soldati rimasero compatti con il loro comandante poi, a seguito delle pressioni dei parenti, arrivati dalle più disparate destinazioni, iniziarono a disertare.

Croce aveva intenzione di trasferirsi sui monti a Dumenza (Va), località che permetteva di poter dominare il sottostante territorio e, in caso di estremo pericolo, di avere la possibilità di sconfinare in Svizzera.

Partì quindi l’11 settembre con i suoi mille soldati per Luino, senza darne preavviso al Comando di Varese che, venutone a conoscenza ordinò l’immediato rientro, pena severe sanzioni. Croce allora diede il contrordine alle truppe di rientrare. Questo imprevisto causò il disorientamento dei soldati e i reparti iniziarono a sfaldarsi, tra il 9 e il 12 settembre alcuni sodati disertarono fuggendo nella vicina Svizzera.

La mattina del 12 settembre Croce, con un centinaio di uomini e con tutto il materiale che riuscì a trasportare, tra cui la dotazione di un battaglione di bersaglieri ciclisti in fuga verso il confine, si trasferì a Roggiano e si acquartierò nelle postazioni militari costruite durante la prima guerra mondiale, in prossimità di Cascina Fiorini. In questo luogo si fermò per circa una settimana.

Le incursioni nelle caserme abbandonate di Luino e Laveno consentirono un buon rifornimento di armi, munizioni e viveri che il 19 settembre, caricati su autocarri militari e automezzi civili, furono trasferiti a Vallalta di San Martino in Villa San Giuseppe (zona ritenuta più idonea per la difesa della vallata), ex Caserma Luigi Cadorna, residenza estiva dell’Istituto Sordomute Povere di Milano, messa a disposizione degli undici militari rimasti: il tenente colonnello Carlo Croce, il tenente Germano Bodo, il sottotenente Franco Rana, il sottotenente Dino Cappellaro e sette soldati.

Il primo impegno fu quello di dotarsi di un nome: Esercito Italiano - Gruppo Militare Cinque Giornate Monte San Martino di Vallata Varese e di un motto: Non si è posto fango sul nostro volto.

Nei giorni successivi si apportarono miglioramenti alla caserma, si rese impraticabile, con un fossato e uno sbarramento, l’imbocco della strada per Mesenzana, si ripristinarono le postazioni in caverna, si realizzarono nuove postazioni all’aperto per mitragliatrici e si avviarono attività volte al recupero di materiale bellico e di viveri.

Il gruppo divenne ogni giorno più numeroso (per il continuo affluire di militari italiani e di soldati dei comandi alleati fuggiti dai campi di prigionia) fino a raggiungere la consistenza di centosettanta unità, tanto che il 22 ottobre 1943 il gruppo venne diviso in tre compagnie.
La Compagnia Comando presso il Forte era agli ordini del tenente Carlo Hauss, la Prima Compagnia nelle gallerie basse era comandata dal tenente Giorgio Wabre, la Seconda Compagnia nella Villa San Giuseppe obbediva al capitano Enrico Campodonico. Gli ufficiali subalterni erano il tenente Dino Cappellaro (nome di battaglia Barba) e il tenente Alfio Manciagli (nome di battaglia Folco). Furono nominati aiutante maggiore del colonnello Croce, il tenente Germano Bodo (nome di battaglia Lupo) e il cappellano della formazione, don Mario Limonta.

Importante si rivelò il sostegno del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) di Varese, la collaborazione di buona parte del clero locale e della popolazione dei paesi adiacenti al San Martino che iniziò gradualmente a realizzare fossati, sbarramenti e postazioni di difesa.

Con l’avvicinarsi dell’inverno e l’ingrossarsi delle fila partigiane i tedeschi si resero conto che l’azione partigiana avrebbe potuto costituire un serio pericolo, soprattutto in vista dell’arrivo degli eserciti anglo-americani, perciò andarono consolidando nel Varesotto la loro presenza con l’arrivo l’1 novembre 1943 di una compagnia di Polizia di montagna.

I nazifascisti iniziarono anche a costituire una rete di spionaggio con infiltrati nel gruppo e con gente del posto disposta a collaborare, o per condivisione dell’ideologia o per un riscontro economico. Per questa ragione, già ai primi di novembre, i comandi tedeschi erano a conoscenza dei componenti del gruppo, della provenienza dei rifornimenti, della dotazione di armi, dell’ubicazione delle fortificazioni.

Lo scontro si avvicinava, ma il colonnello Croce rifiutò i suggerimenti del C.N.L di Varese di abbandonare le posizioni poco difendibili e rifiutò anche il patteggiamento con gli emissari fascisti, messaggeri di proposte di resa. La sua risposta fu: "Deporremo le armi solo quando i tedeschi avranno lasciato l’Italia e l’Italia sarà liberata dal fascismo".

A Rancio Valcuvia fu insediato il comando tedesco del 15° Reggimento di Polizia agli ordini del tenente colonnello Von Braunschweig, giunsero uomini della Guardia di Frontiera, pattuglie di artiglieri, Milizia fascista e Carabinieri.

Il 13 novembre 1943 fu diramato lo stato d’assedio in tutta la Lombardia, tutti gli esercizi pubblici furono chiusi fino a nuovo ordine e fu bloccata l’uscita dei quotidiani.

Il 14 novembre, con la collaborazione di carabinieri e milizia fascista, si diede inizio al rastrellamento della popolazione residente alle pendici del monte, furono catturati tutti gli uomini dai quindici ai sessantacinque anni e rinchiusi negli edifici pubblici o nelle chiese.
A Rancio Valcuvia i tedeschi concentrarono un numero considerevole di uomini considerati partigiani o collaboratori dei partigiani che subirono durissimi interrogatori, sevizie e torture. Tutte le persone rastrellate vennero poi liberate nelle giornate del 17 e 18 novembre al termine della battaglia.

Il 15 novembre Croce affidò il compito di disturbare l’arrivo delle pattuglie nemiche a gruppi mobili di partigiani, bloccando le strade.
A Duno tre partigiani attaccarono i primi automezzi e le prime pattuglie tedesche con bombe a mano che provocarono morti e feriti.
Una compagine di dieci uomini, agli ordini del tenente Alfio Manciagli (nome di battaglia Folco), spianò le armi contro il gruppo d’assalto tedesco proveniente da Arcumeggia, composto da circa ottanta uomini del Reggimento di Polizia e contro il plotone della Guardia di Frontiera e i gruppi di polizia in arrivo da San Michele.
Le azioni dovevano costituire motivo di disturbo nei confronti dei tedeschi per rallentare la loro discesa verso le postazioni fortificate di Vallalta.

Sul piazzale antistante l’ex caserma in Vallalta, crocevia di tutte le strade che salendo da valle portano sulla cima del monte San Martino, la mattina del 15 Novembre 1943 i mitraglieri della Seconda Compagnia della formazione partigiana impegnarono seriamente le pattuglie tedesche che tentarono di accerchiarli, infliggendo loro pesanti perdite.

Verso le ore dodici ci fu un attacco della Luftwaffe, un durissimo bombardamento aereo contro le postazioni arroccate sulla montagna.
I partigiani opposero estrema resistenza anche nel corso del bombardamento aereo fino all’esaurimento delle munizioni che li costrinse a ritirarsi nel sottostante Forte.
La Compagnia Comando era posizionata a difesa del Forte e dell’accesso da San Michele e la Prima Compagnia a protezione della strada per Mesenzana.
A quel punto i tedeschi attaccarono la vetta. Nonostante l’eroica resistenza, i partigiani furono sopraffatti e sei di loro catturati. Tedeschi e fascisti attaccarono il resto della formazione con armi di ogni tipo.
Parecchi ragazzi della Prima Compagnia, terrorizzati dalla ferocia della lotta, abbandonarono le loro postazioni in cerca di una via di fuga.

Alcuni furono catturati dai tedeschi e fucilati il giorno successivo, dopo interrogatori e sevizie di ogni genere, con tutti gli altri partigiani fatti prigionieri nel corso della battaglia.

L’arrivo dell’oscurità costrinse i tedeschi a sospendere ogni azione permettendo così ai partigiani di ricompattarsi, distruggere i materiali rimasti, occludere gli accessi alle gallerie e organizzare la fuga verso la Svizzera, che raggiunsero all’alba del 16 novembre.
Anche Croce, pur ferito, si diresse verso la Svizzera, trasportando gli altri feriti. Successivamente, insofferente per l’inazione, varcò nuovamente il confine con sei compagni. Circondato da nemici, gravemente ferito a un braccio, fu fatto prigioniero. Prelevato dalle SS (Schutzstaffeln - reparti di difesa) dall’ospedale di Sondrio poche ore dopo aver subito l’amputazione del braccio destro, venne barbaramente torturato. Morì a Bergamo il 24 luglio 1944. Dopo la fine della guerra fu insignito della Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria.

Nel pomeriggio del 18 novembre 1943, prima di partire per altre destinazioni, i tedeschi rasero al suolo l’ex caserma danneggiata dai bombardamenti e senza alcuna giustificazione anche l’Oratorio di San Martino, monumento nazionale, che verrà completamente distrutto (dopo la guerra, l’Oratorio fu ricostruito e nel 1951 venne ceduto alla Diocesi di Como perché ne assumesse la proprietà per la parrocchia di Duno. Il 24 agosto 1958 fu inaugurato e riaperto al culto).

Nella seconda metà di ottobre del 1943 anche un gruppo di giovani operai di Cinisello Balsamo raggiunse i partigiani sul Monte San Martino: Valentino Colombo, Antonio Gambero, Franco Ghezzi, Mario Mandelli, Giuseppe Marafante e Giovanni Zuzzi. Con il colonnello Croce collaborarono anche alcuni Carabinieri delle stazioni di Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni: Antonio Porcu, Antonio De Lisio, Alessandro Fattore, Francesco Lettieri e Annibale Perversi.

Vai alla scheda: "Ai partigiani caduti nella battaglia del Monte San Martino" - Sacrario, Monte San Martino (Va).

Per approfondire: Francesca Boldrini, Se non ci ammazza i crucchi ne avrem da raccontar - La battaglia di San Martino - Varese, 13-15 novembre 1943, Mimosa Editore, Milano, 2006.

Immagini relative al trasporto delle salme dei partigiani
Presentazione del lavoro di ricerca di Francesca Boldrini
L’episodio del San Martino e la relazione di Enrico Campodonico
La battaglia del San Martino, un sacrificio non inutile di Maria Pellegatta


GALLERIA FOTOGRAFICA

La caserma

Oratorio di San Martino

Oratorio di San Martino ricostruito

Tessera di riconoscimento di Carlo Croce

Tessera di riconoscimento di Germano Bodo

La cattura di alcuni partigiani nei boschi di Cassano Valcuvia (fotografia trovata successivamente indosso a un tedesco)

Corpi di partigiani fucilati (fotografia trovata successivamente indosso a un tedesco)

21 novembre 1943, ufficiali della formazione Cinque Giornate a Bellinzona.
Da sinistra Dino Cappellaro, Giorgio Wabre, Enrico Campodonico, Teodoro Pizzato, Germano Bodo