IL TRASPORTO FERROVIARIO NEL SUD ITALIA DOPO LO SBARCO DEGLI ALLEATI

Con lo sbarco degli Alleati, a livello organizzativo la rete ferroviaria dell’Italia meridionale passò sotto la loro direzione e gestione.
Le ferrovie italiane requisite costituivano una vera e propria azienda alleata, la cui direzione aveva sede a Napoli.
La gestione era minuziosa e totale. Gli Alleati, per motivi imperscrutabili, riclassificarono persino le locomotive con numerazioni diverse da quelle italiane, storicamente utilizzate.
Le condizioni di soggezione erano contenute nell’articolo 14 bis dell’"Armistizio lungo" (o "Armistizio di Malta"): "Tutti i trasporti interni italiani e tutti gli impianti portuali saranno tenuti a disposizione delle Nazioni Unite per gli usi che esse stabiliranno".

Ad esempio la linea, affidata al 727° Battaglione Ferroviario, di fatto costituiva parte del tormentato itinerario Potenza-Metaponto-Catanzaro: unico collegamento utile per raggiungere Reggio Calabria da Napoli e Bari, essendo la linea tirrenica interrotta per danni bellici.

L’esercizio ferroviario si svolgeva attraverso personale italiano delle Ferrovie dello Stato, rigidamente subordinato a quello Alleato.

In Sicilia, Calabria, Lucania, Puglia, Molise e nella parte meridionale della Campania, grazie al consolidamento del fronte bellico più a nord, dopo la riparazione dei danni conseguenti ai bombardamenti e ai sabotaggi, gli Alleati acconsentirono a una riattivazione del servizio passeggeri, anche se assai limitata.

Nelle disgraziate contingenze di quel periodo, la ripresa dei collegamenti ferroviari per passeggeri tra Campania e Puglia, oltre a venire incontro, in teoria, alle esigenze della popolazione e del commercio, permetteva a molte persone anche di sbarcare il lunario. Fondamentalmente dava alle varie comunità dell’Italia meridionale la possibilità di muoversi. Infatti, i pochi automezzi disponibili erano sistematicamente requisiti dalle autorità alleate e comunque non avevano molta possibilità di circolare, in quanto i rifornimenti di carburante erano consentiti solo per motivi di pubblica utilità.

Il treno, dunque, non solo era l’unico mezzo a disposizione insieme alle corriere, ma era quello maggiormente fruibile, se non si andava troppo per il sottile. Infatti all’epoca era normale utilizzare per il trasporto passeggeri anche i cosiddetti carri attrezzati, cioè vagoni merci adattati per il trasporto di persone.

Nel 1944, sui treni che venivano assaltati e viaggiavano stracarichi, si utilizzava ogni superficie utile, anche le guaine dei respingenti e l’imperiale delle carrozze. In questo secondo caso, chi stava avanti, segnalava l’approssimarsi delle gallerie e chi stava sopra doveva riuscire ad appiattirsi sul tetto del treno. Ma a volte decine di persone si sfracellavano contro la galleria.

Il servizio viaggiatori era decisamente insufficiente, sicchè anche i treni merci e le tradotte erano presi d’assalto da centinaia di persone che vi viaggiavano in condizioni disagevoli e pericolose, oltreché rischiando sanzioni o di essere sloggiati in stazioni intermedie, lontano dalle loro destinazioni, per l’intervento delle forze dell’ordine.

Nonostante che, dopo lo sbarco degli Alleati, la situazione alimentare fosse migliorata lievemente e transitoriamente, nelle province di Salerno e Napoli centinaia di persone continuarono a fare la spola con ogni mezzo verso la Basilicata in cerca di generi alimentari.

Il 7 dicembre 1943, il sottosegretario di Stato del Ministero delle Comunicazioni del primo governo Badoglio, generale di brigata Giovanni Di Raimondo, segnalava preoccupato ai Ministeri della Guerra, della Marina, dell’Aeronautica, degli Interni e alla Presidenza del Consiglio che, per esigenze operative ed economiche, nel compartimento di Bari, gli angloamericani avevano disposto la riduzione del traffico ferroviario civile del 50 per cento, mentre il numero dei viaggiatori aumentava costantemente.
Il sottosegretario evidenziava l’eccessivo affollamento dei convogli da parte di civili e militari, i conseguenti rischi per la sicurezza e l’incolumità dei passeggeri, nonchè il mancato pagamento dei biglietti per cose e persone, causato dall’impossibilità di fare controlli.

Il servizio passeggeri bisettimanale nella tratta Napoli-Bari, durava in ambedue le direzioni ventiquattro ore precise.

Era necessario il biglietto, ma anche una speciale autorizzazione rilasciata dalle autorità alleate. L’accesso ai treni era permesso solo dalle stazioni principali, ciascuna delle quali era autorizzata a rilasciare un numero massimo di biglietti. Ogni treno doveva viaggiare scortato anche da personale militare e nelle principali stazioni doveva essere stabilito un servizio d’ordine.

Ogni giorno da Napoli, Salerno e rispettive province, migliaia di persone si riversavano nella provincia di Potenza, creando problemi di ordine pubblico, sicurezza nei trasporti, per di più diffondendo il contagio da tifo.
Era povera gente che assaliva i treni esclusivamente per cercare di sfamare la famiglia. A volte i passeggeri venivano fatti scendere in stazioni intermedie ad attendere il passaggio di un altro treno per far posto ai soldati alleati.

I comandi alleati avevano anche minacciato di installare mitragliatrici con l’ordine di far fuoco per mantere la disciplina.

Nel 1944, la linea Battipaglia-Potenza era ancora esercitata con trazione a vapore.

Questo tipo di trasporto era ancora in uso dopo che erano trascorsi più di cento anni da quando, il 27 settembre 1825 la prima locomotiva a vapore, la Locomotion, aveva rimorchiato un treno, tra Darlington e Stockton in Gran Bretagna e in Italia, il 3 ottobre 1839, era stata inaugurata la Napoli-Portici.

Il lavoro di macchinisiti e fuochisti di macchine a vapore può considerarsi uno dei più massacranti.
Nessun mestiere richiede contemporaneamente un così duro sforzo fisico, abbinato a costante necessità di concentrazione. Per più di un secolo, lo sforzo di uomini che governavano una caldaia su ruote, ha fatto muovere milioni di persone e di merci nel mondo, rivoluzionando nazioni e commerci.

Ore e ore in piedi, a muovere leve e spalare carbone, con frequenti soste per lubrificare e rifornire d’acqua e carbone, all’interno di una cabina di guida semiaperta, con temperature spesso superiori anche di decine di gradi rispetto a quelle esterne, con visibilità in pratica solo laterale. A questo rilevante impegno fisico, si aggiungeva quello mentale, per la necessità di controllare costantemente linea e segnali.
Il tutto per spostare merci e persone a velocità che adesso farebbero sorridere.

Difficilmente i musi neri sfuggivano a malattie professionali dell’apparato respiratorio e di tipo reumatico.

Queste erano le condizioni abituali; quando poi la circolazione avveniva su linee di montagna, si aggiungevano i pericoli e le difficoltà derivanti dalla frenatura, dagli slittamenti e, nel caso di attraversamento di gallerie, i rischi dell’intossicazione da monossido di carbonio.
Non ci sono statistiche disponibili, ma il numero dei deceduti per tale causa, supera, a livello mondiale, il migliaio.

Per macchinisti e fuochisti di una locomotiva a vapore che iniziavano un servizio, sapendo di dover attraversare gallerie in salita, quindi a bassa, o bassissima velocità, il gesto numero uno alla partenza era l’apertura del regolatore, ma quello numero zero era il segno della croce.

A conferma della pericolosità della trazione a vapore, in linee con molte gallerie e altimetricamente difficili, un buon 50% di quelle italiane, va evidenziata una peculiare misura di sicurezza adottata nella linea Porrettana (tra Firenze e Bologna) un centinaio di anni fa.
Appena fuori dal traforo di Pracchia, il più lungo della linea, quasi tre chilometri, due ferrovieri si piazzavano pronti a saltare sulle locomotive in caso di svenimento del personale di macchina.
L’arrivo alla stazione era caratterizzato da una vera e propria corsa alla locale fontanella, corsa alla quale partecipavano semisoffocati e anneriti passeggeri d’ogni sesso ed età.

Nel 1944 le condizioni nelle quali si svolgeva il lavoro del personale di macchina di una locomotiva a vapore non erano mutate molto in 120 anni.
Il lavoro in ferrovia era peraltro molto ambito e ancora oggi l’immagine di un treno a vapore e dei musi neri che lo conducono risulta giustamente ricca di fascino ed evocativa di suggestioni.

L’incidente di Baragiano del 1942, dove morirono due cinisellesi: Dante Bonanomi e Luigi Sattin, si colloca in questo scenario e fu uno dei cinque incidenti che precedettero la sciagura ferroviaria di Balvano del 3 marzo 1944, il più grave incidente ferroviario per numero di vittime della storia d’Italia e d’Europa e uno dei più gravi nel mondo.

Vai alla scheda: "Ai soldati periti nell’incidente ferroviario di Baragiano (Pz)" - lapide commemorativa nella stazione ferroviaria di Baragiano.



GALLERIA FOTOGRAFICA

Una locomotiva a vapore

Una locomotiva a vapore

Macchinisti, detti "musi neri"

Macchinisti, detti "musi neri"

Luglio-agosto 1943, sbarco degli Alleati in Sicilia