BONADINI ELIO

Nacque il 15 marzo 1920.

Arruolato nell’Esercito, fu inquadrato nel 14° Reggimento Cavalleggeri di Alessandria.

Il 17 ottobre 1942 cadde nel corso di un cruento combattimento a Poloj in Jugoslavia (Croazia), durante la celebre ultima carica della Cavalleria italiana. Venne considerato disperso.

Bonadini è ricordato nel cimitero di Cinisello.

Il suo nome compare sulla lapide Ai dispersi della seconda guerra mondiale sita nell’atrio del Palazzo comunale in piazza Confalonieri 5.

PER APPROFONDIRE


Il 14° Reggimento Cavalleggeri di Alessandria traeva origine da un omonimo antico Reggimento costituito nel 1850; un regio decreto del 1920 ne determinò il nome. Il motto era In periculo surgo. Partecipò alla prima guerra mondiale e alle Campagne d’Africa e di Spagna.
Nel 1940, allo scoppio della seconda guerra mondiale, era inquadrato nella 1^ Divisione Celere Eugenio di Savoia; il 6 marzo del 1941 passò alle dipendenze della 2^ Armata.

Il 6 aprile del 1941, data della dichiarazione di guerra alla Jugoslavia da parte di Germania e Italia, il Reggimento varcò il confine senza incontrare resistenza. Dopo la capitolazione della Jugoslavia, rimase in zona di occupazione con il compito di contrastare gli attacchi dei partigiani.

Nell’estate-autunno del 1942 si intensificò l’attività a causa degli scontri con i partigiani, sempre più attivi e intenzionati a difendere il territorio dagli occupanti.
Nell’ottobre del 1942 iniziò un ciclo operativo che durò sino al 23 ottobre e si svolse in tre fasi; la prima dal 6 al 15, la seconda dal 16 al 19 e la terza dal 20 al 23.

Nel corso della seconda fase, il 16 ottobre, il Raggruppamento di cui faceva parte il 14° Reggimento Cavalleggeri di Alessandria passò al comando del generale Mazza (vicecomandante della Divisione Celere), il quale diede l’ordine di raggiungere località Primislje. Durante lo spostamento ci furono scontri con le formazioni partigiane che costrinsero gli italiani a ripiegare per due volte verso Perjasica.

Il 17 ottobre, dopo che furono abbeverati i cavalli ai mulini di D. Karasi nei pressi del fiume Korana, i cavalleggeri si misero in marcia per ritornare a Perjasica. Alle ore 10 ci fu un attacco dei partigiani da entrambe le rive del fiume, a cui il Reggimento rispose con tiri dell’artiglieria, riuscendo a giungere Perjasica per le ore 11.30.
Alle ore 13 i cavalleggeri si mossero, rinforzati da uno squadrone di carri e dalla sezione artiglieria, raggiungendo Poloj alle ore 14.30. Lì, avendo osservato movimenti di partigiani dalle alture vicine, si schierarono in ordine di combattimento in una zona favorevole per le profonde doline (avvallamenti di origine carsica) dove potevano essere collocati i cavalli.
I civili del luogo, salvo quelli che in numero notevole militavano nelle file partigiane, abbandonarono tempestivamente le proprie abitazioni per ingiunzione dei partigiani, che evidentemente presagivano quanto sarebbe successo. Infatti, tutte le abitazioni di Poloj furono distrutte dagli italiani.
Alle 14.45 ci fu un violento attacco dei partigiani durante il quale furono uccisi Alberto Brandolin ed Elio Bonadini di Cinisello Balsamo, cavalleggeri del 2° Squadrone. L’artiglieria aprì il fuoco mentre giungeva sul posto il generale Mazza che assunse il comando dell’operazione con l’intento di raggiungere Primislje ad ogni costo. Il Battaglione Camicie Nere tentò di aprire la strada al Reggimento, senza riuscirvi. I generali Mazza e Lomaglio (comandante della Divisione Celere) ordinarono di proseguire verso Primislje, nonostante il colonello Ajmone Cat (comandante del 14° Reggimento Cavalleggeri di Alessandria) ritenesse l’operazione pericolosa a causa dell’oscurità.
Alle 18.30 iniziarono a muoversi, ma dopo pochi chilometri furono attaccati nuovamente da un violento fuoco di armi automatiche e di bombe a mano. Nel frattempo il 3° Squadrone, superato un gruppo di uomini, donne, ragazzi, con forche, coltelli e pistole, si gettò contro le formazioni partigiane con gli altri Squadroni, a difesa della sezione d’artiglieria.

Moltissime furono le perdite di uomini e armi da entrambe le parti. Avendo perso la sezione d’artiglieria e il carreggio da combattimento, i reparti furono costretti a rientrare alla spicciolata a Perjasica. Quel giorno si contarono due ufficiali dispersi e uno morto, mentre i sottufficiali feriti furono cinque. Nella truppa ci furono dieci morti, cinquantasei feriti e cinquantadue dispersi. I cavalli perduti furono centonove e sessanta quelli feriti.
Per ordine dei partigiani i caduti del 17 ottobre furono seppelliti immediatamente, onde evitare possibili epidemie. In fosse affrettatamente scavate dai civili, in punti diversi, dove il terreno di natura carsica si prestava meglio, furono calati insieme, partigiani, soldati italiani e cavalli. Dopo la guerra si riuscì a identificare una fossa con trentanove soldati italiani e dodici cavalli. Un’altra fossa venne identificata presso l’abitazione di un certo Margic Bozo, a Poloj superiore. Dal quel ritrovamento fu possibile ricostruire che si trattava di prigionieri che vennero uccisi, mentre le camicie nere furono anche seviziate prima dell’esecuzione. Tutti i caduti italiani vennero privati delle uniformi, delle armi, delle munizioni e dell’equipaggiamento, rendendo quindi impossibile il riconoscimento delle salme.

La carica del 17 ottobre 1942 fu la vera ultima carica di cavalleria della storia*, indubbiamente fine a se stessa, eseguita unicamente per sganciarsi dal nemico. Una carica assurda, perché assurdi furono gli ordini impartiti dei generali Lomaglio e Mazza, nonostante le proteste del colonnello Ajmone Cat. La carica fu condotta dall’intero Reggimento, cioè cinque squadroni con lo stendardo e il colonnello in testa. Una scena epica; all’imbrunire, settecentosessanta uomini furono lanciati al galoppo contro le Brigate d’assalto del maresciallo Tito.
Già all’indomani della battaglia, da parte degli alti comandi italiani, c’era la voglia di cancellare l’episodio. Il generale Mario Roatta,** davanti ai cavalleggeri schierati, disse: "Al mio superiore vaglio, gli ordini impartiti sono risultati illuminati. Si cancelli ogni cosa dalle vostre memorie, rimanga quello che passerà alla storia con il nome di carica di Poloj". A quelle parole il comandante Ajmone Cat esplose rispondendo: "Che dirò a tante madri? Che un ordine pazzo ha stroncato la vita delle proprie creature?". Roatta voltò le spalle e tacque.
Il colonnello Ajmone Cat fu esonerato dal comando del Reggimento e il 14° Reggimento Cavalleggeri di Alessandria non ebbe alcuna ricompensa. Paradosslamente l’unica ricompensa giunse dal nemico; il maresciallo Tito affermò: "Abbiamo avuto l’onore di scontrarci con i Cavalleggeri di Alessandria".

*In realtà viene ricordata come l’ultima carica di cavalleria, condotta da unità del Regio Esercito italiano, la carica di Isbuscenskij in Russia (presso un’ansa del fiume Don), il 24 agosto del 1942, anche se quella di Poloj si svolse due mesi dopo.

**Mario Roatta, già capo del S.I.M. (Servizio Informazioni Militari) e capo di Stato maggiore, il 18 marzo 1942 venne nominato comandante della 2^ Armata in Croazia dove ordinò di "[...] applicare nella guerra contro i partigiani le sue disposizioni senza false pietà", dando così inizio ad una vera e propria azione di terrore contro i civili che davano supporto logistico alle bande partigiane. Vennero devastati numerosi villaggi e Roatta si guadagnò il sinistro soprannome di bestia nera.



GALLERIA FOTOGRAFICA

Elio Bonadini

Cimitero di Cinisello

Prima guerra mondiale, il 14° Reggimento Cavalleggeri di Alessandria a Trento liberata

Prima guerra mondiale, ufficiali del 14° Reggimento Cavalleggeri di Alessandria

Seconda guerra mondiale, 1942, Croazia, 14° Reggimento Cavalleggeri di Alessandria

Poloj, chiesa campestre presso il luogo della battaglia

Mario Roatta